Da Maradona a Ferrara, Bigon parla dei suoi uomini scudetto

Lo stile Oxford ce l’aveva da calciatore e lo conservò anche da allenatore. Impeccabile, sempre, come adesso, Alberto (ma all’anagrafe Albertino) Bigon, classe 47, l’allenatore ha guidato il Napoli alla conquista dello scudetto del 1990. Il 29 aprile. Ai microfoni de Il Mattino parla anche dei suoi uomini ai tempi dello scudetto:

Il simbolo di quella squadra?
«Il Napoli autarchico delle prime giornate era il segnale del valore. Tutti quelli che venivano chiamati si sentivano responsabilizzati. Penso a Mauro, per esempio, che doveva indossare la 10».
Lei ha tenuto a battesimo Zola, ma anche Baggio.
«Vero, ero al Vicenza in serie C, arriva il ds e ci dice che oggi si allena in prima squadra un ragazzino di 16 anni. Io resto indignato: E cosa fa? Lascia la scuola?. Mi sembrava una cosa scandalosa. Ma alla fine dell’allenamento dissi: Fategliela lasciare».
Mi definisca quei giocatori dello scudetto: Giuliani?
«Tranquillo, serio, freddo».
Ferrara?
«Nei momenti critici era lui il referente della squadra, il vero capitano quando Maradona non c’era».
Francini?
«Lui, Baroni, Corradini, De Napoli, Crippa, Fusi sono sullo stesso piano, il motore della squadra. A turno qualcuno non giocava, ma davo sempre spiegazioni il sabato. Sempre».
Renica se l’è scordato?
«Eh no, perché lui fa corsa a parte. Doveva fare il playmaker fino a metà campo. Il piano era semplice: il motore recuperava la palla e la doveva dare a Renica. Lui avrebbe fatto il lancio di 30 metri per innescare la corsa di Careca in contropiede oppure servire Diego. Tattica semplice o no?».
E Alemao?
«Cavallo di razza, ma andava troppo spesso a briglie sciolte. Facevo tatticamente fatica a inquadrarlo anche se i numeri che aveva erano di alta qualità»
Carnevale?
«Andrea doveva portare la croce. Sapeva che sacrificavo la sua propensione offensiva. Nell’intervallo di Inter-Napoli ebbe da ridire: lui aveva le sue ragioni e io le mie. Chiedevo anche a Careca e Maradona di dare una mano, ma li dovevo tenere freschi, era quella la tattica». Fonte: Il Mattino

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