Mancini prima parla da cittadino comune, poi da ct della Nazionale che ha riavvicinato il popolo alla maglia azzurra. Eccolo ai microfoni del CdS:
«Spero che si possa tornare presto a vivere e che questo momento drammatico diventi solo un ricordo, seppure storicamente brutto. Per vivere intendo la libertà di agire, di pensare, di avere rapporti sociali e, anche, di fare attività sportiva». Roberto Mancini si trova nella sua residenza davanti a piazza del Popolo e affronta il futuro. «Corro in casa, ma sogno che sia giunto il momento di allentare la pressione».
In due mesi, solo gli Stati Uniti hanno più morti del nostro Paese: stiamo arrivando quasi a 25 mila. «Una tragedia immane, inaspettata, terribile. Ho il massimo rispetto delle vittime, dei familiari e di chi ci sta gestendo in questo momento di emergenza. L’ho sempre detto: conta la salute, prima di tutto. Ora bisogna ripartire».
Si spieghi meglio. «E’ stato e sarà ancora un anno terribile, ma credo che nel 2020 ci siamo fatti trovare tutti impreparati, in Italia e nel mondo. Bisogna trovare una soluzione».
Lei vorrebbe interrompere il lockdown? «Non posso e non intendo entrare nel merito delle decisioni del Governo. Io dico che dopo così tanto tempo la vita deve riprendere per tutti, magari in modo diverso. Oltre alle chiusure di tutte le attività, dei fallimenti delle aziende dovremo confrontarci con la depressione. La gente è stanca».
In Italia la situazione è in lieve miglioramento ma la fine dell’incubo sembra lontana.
«E io le ripeto che un evento più terribile non ci poteva capitare. Si può parlare di strage, di una guerra, come l’hanno definita. Terribile, appunto».
Anche lo sport ha chiuso e rischia di fallire, soprattutto quello di base. «Io leggo e mi informo, e – ripeto – prima di tutto viene la salute ma mi risulta che il mondo dello sport non sia stato colpito dal coronavirus. I casi li contiamo facilmente, soprattutto ad alto livello: venti giocatori in serie A? Non ci arrivo, se escludiamo medici, accompagnatori e staff. E in serie B e in serie C? Quanti casi sono stati denunciati? Se poi mi allargo all’attività mondiale, non mi sembra che i numeri aumentino, anzi. Secondo me lo sport di contatto non è pericoloso, almeno osservando i numeri».
Sembra che, proprio in queste ore, il Comitato Tecnico Scientifico lo consideri non a rischio elevato. «Per questo spero che riaprano il nostro mondo. E non lo dico egoisticamente, per motivi di soldi o di interesse, io ormai gli Europei li giocherò tra un anno e dovrò ricominciare il lavoro di studio. Lo dico da semplice cittadino: lo sport ha un valore sociale, di aggregazione. Se riparte, darà una mano al Paese sotto il profilo psicologico. Le emozioni positive aiutano».
E poi il calcio è una delle industrie più importanti del Paese. «Sì, se coliamo a picco noi poi sarà più difficile per tutti».
Ma resta un mondo spaccato: neanche davanti al coronavirus si trova un’intesa. «E questo mi dispiace, perché non facciamo una bella figura. Ho attraversato molte epoche del calcio e dico che in passato anche quando c’erano posizioni differenti poi si sceglieva tutti insieme una linea comune».
Niente sarà più come prima? «Una teoria, questa, che non mi piace. Ma chi lo dice? Chi lo sostiene e perché? Su che basi ci raccontano che saremo diversi? Io dico che diversi dovremo essere, ma sotto il profilo umano e comportamentale: tutti più onesti e solidali, ok, ma poi la vita deve tornare a quella precedente. Dalla tragedia, costruiamo un mondo migliore».
Il Nord ha pagato un prezzo salatissimo, il Centrosud ha resistito meglio. Lei vive a Roma… «Sì, ci sono Regioni più colpite e altre meno. Forse, adesso, dovrebbero essere prese delle misure differenti, pur ponendo limiti di spostamento».
E’ più facile infettarsi al supermercato o su un campo di calcio? «Non voglio fare paragoni perché non sarebbe giusto. Io penso che l’attività possa riprendere: i campi di calcio sono lunghi cento metri, ci sono gli spazi giusti, molti club hanno anche molteplici terreni e spogliatoi diversificati. Riprendiamo a giocare a calcio e vedrete che il calcio aiuterà il Paese».
I giocatori sono sottoposti a controlli continui, come il protocollo comanda.
«E questo avvalora la mia tesi che si può ripartire in assoluta sicurezza. Una volta stabilito che i cinquecento giocatori impegnati in serie A sono immuni o guariti, non ci saranno più rischi e pericoli».
Le aziende devono organizzarsi per mettere tutti in sicurezza, quindi anche le società di calcio. «La Ferrari può diventare un esempio: sta seguendo tutte le procedure per essere a norma»
Dodici giornate per giocarsi uno scudetto. «Che diventa impronosticabile, perché è un mini torneo. La Juve, che è la più forte in assoluto, e la Lazio sono favorite, ovvio, ma attenzione perché certe distanze possono essere annullate facilmente da uno sbandamento. L’Inter se batte la Samp nel recupero che le manca, tornerà in corsa per il titolo. E attenzione anche all’Atalanta, se ripartirà da dove era rimasta. Nessuno può sentirsi al sicuro o più forte degli altri».
I valori cambieranno? «Certo, due mesi di stop faranno la differenza. I giocatori si saranno allenati a casa, ma tutti con modalità diverse e le loro condizioni non saranno uguali. Gli allenatori dovranno studiare allenamenti personalizzati prima di arrivare al lavoro di gruppo».
Avanza l’ipotesi di aiutare le squadre con i cinque cambi perché si giocherà ogni tre-quattro giorni. «Sì, può essere una buona idea, ma senza esagerazioni. Una sostituzione in più, secondo me, può bastare, perché altrimenti una partita perde la propria identità se la facciamo assomigliare ad un’amichevole con sostituzioni continue».
Può diventare anche una soluzione definitiva per la prossima stagione? «Non lo so, forse nelle partite che vanno ai supplementari, a me così tanti cambi non piacciono molto».
Stiamo per affrontare 14 mesi di calcio senza sosta. «Se finisce una stagione, e me lo auguro, inizia l’altra immediatamente dopo. Si parla di finali europee in pieno agosto: non ci saranno soste, le rose dovranno ampliarsi, gli impegni saranno stressanti. Possiamo prendere esempio dalla Russia: consegnato lo scudetto, dieci giorni dopo si ricomincia. Ovviamente con una pausa invernale».
E per le Nazionali ci sarà poco spazio. «Lo so, ma io ora mi auguro che il calcio riparta e che aiuti il Paese a riprendersi. Non voglio pensare ai miei interessi personali: spero che la serie A si concluda ed esprima i suoi verdetti, al resto penserò dopo».
A giugno avrebbe avuto delle certezze, tra un anno magari i valori dei suoi giocatori saranno cambiati: pensi a Immobile, era il suo momento d’oro. «E’ vero, ma ho una Nazionale molto forte, costruita su certezze e giocatori molto esperti. Voglio guardare la cosa positiva: i giovani, come Tonali, cresceranno a prescindere da dove giocheranno e qualcuno tornerà in gruppo perché oggi sarebbe rimasto fuori. Penso a Zaniolo, naturalmente».
E’ tornato a parlare di calcio, finalmente. «Ho voglia di aria, ho voglia di uscire, ho voglia di tornare a vivere. Ho parlato da libero cittadino, sebbene uomo di sport. E lo sport è vita sana e positiva: nessuno lo potrà fermare, nemmeno questo virus».
La Redazione