Coronavirus: riaperture, si comincia dall’auto. Fase 2 dal 27 aprile: riparte anche ​la moda. Limitazioni alla mobilità

Coronavirus – Dovrebbero essere l’auto, la meccanica e la moda ad accendere i motori dell’Italia. Avanti piano, però. Ogni regione ha ormai la sua task force che pondera, studia, analizza, e permette al suo presidente di chiedere al governo – dati alla mano – più o meno la stessa cosa: aprire il 4 maggio. Ma far ripartire tutto e tutti lo stesso giorno, magari alla stessa ora, rischia di rendere più o meno vano ciò che si è fatto sinora. Reggere alle pressioni non è però facile. Per evitare di ripartire tutti insieme il 4 maggio si cerca di sfruttare i giorni che mancano dando il via libera ad alcuni filiere produttive. E così dal 27 aprile potrà riaprire tutta la filiera automotive. Ovvero dalle fabbriche meccaniche, ai concessionari sino alle officine che in parte hanno continuato a funzionare sulla base del protocollo del 9 aprile: obbligo di mascherina per il personale, rilevazione delle temperature prima dell’ingresso in azienda, mantenimento della distanza di un metro, sanificazione degli ambienti, procedure per evitare assembramenti nelle mense e negli spogliatoi, uso dello smart working e formazione del personale.  Pronta a riaprire anche la filiera della moda, tanto più che molte fabbriche hanno già riaperto chiedendo l’autorizzazione al prefetto competente. Per rendere quanto più omogenee le aperture verrà aggiornato e reso valido in tutte le regioni il codice Ateco che individua ogni attività merceologiche A palazzo Chigi tornerà oggi a riunirsi la task force di Vittorio Colao. Qualche nervosismo tra la settantina di esperti però si coglie sulle modalità con le quali è stato assegnato il compito, ma anche per la confusione che generano molte regioni, in testa la Lombardia, che prima chiude le librerie – a dispetto dell’apertura voluta da Roma – e poi chiede di azzerare il lockdown. Dal Comitato tecnico scientifico, Colao si è fatto dare numeri e proiezioni sui rischi di espansione del virus a seconda delle modalità di apertura. 

Una delle ipotesi più concreta sulla quale si sta lavorando la spiega Fabrizio Starace, psichiatra del Consiglio superiore di sanità e componente della task force. L’idea è quella di aperture differenziate tenendo conto delle caratteristiche dei vari territori. Un riavvio nazionale lasciando spazi alle regioni, a quelle che hanno un numero ridotti di contagi verrebbe infatti lasciata la facoltà di anticipare la riapertura di attività non distanziate. In Basilicata, per fare un esempio, potrebbero riaprire prima barbieri, parrucchieri e estetisti, che non in Lombardia.

Ma al lavoro, shopping, tempo libero, ci attende una vita a turni scaglionati, in fila. Ovviamente sempre con mascherine, guanti e distanze. Ma soprattutto quasi tutti i tre milioni di lavoratori in smart working potrebbero dover rimanere a casa ancora per un bel po’ di mesi. Il commercio, che è uno dei settori più esposti al contagio nei due sensi, deve comunque ripartire per rimettere in moto il pil.  Ieri è stata un’altra giornata frenetica di videoconferenze, telefonate a tutto campo tra quasi tutti gli interlocutori tecnici a vario titoli coinvolti, più esponenti di Mise, Salute, palazzo Chigi, Interno, per monitorare la situazione e promuovere la fase 2 che, è ormai certo, non partirà lunedì 20. Si cerca quindi di riaprire qualcosa sette giorni dopo, ma non c’è piena condivisione anche se sarà difficile mancare il 4 maggio, giorno indicato dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte come quello in cui l’Italia-spa rialzerà le saracinesche. Tutto dovrebbe avvenire sulla base della curva epidemiologica, della tavola sinottica dimostrativa, dell’esperienza fatta i altri paesi e applicata in Italia: per comparti, per grado di rischi, di protezioni e della capacità di resilienze. Ma soprattutto al termine di un continuo braccio di ferro fra Roma e le regioni che si cercherà di comporre nel weekend nella riunione annunciata dal ministro Francesco Boccia. 

Sta spuntando anche la proposta di matrice governativa di fare un tavolo tra Sviluppo, Salute, Presidenza del Consiglio, Viminale da una parte, associazioni di categoria dall’altra per stendere un protocollo su requisiti e controlli per rimettere in moto la macchina. I tempi così si allungano, ma dalle interlocuzioni stanno emergendo alcuni punti fermi da declinare. Chi lavora da remoto continuerà a farlo per altri mesi: il primo riferimento è alla pa, e non solo, così come accade negli Usa e Germania. Questo per non congestionare i trasporti, specie quelli pubblici che rappresentano un pericolo di contagio, e devono trasportare i pendolari. Fonte: Mattino.it

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