Coronavirus – Dovrebbero essere l’auto, la meccanica e la moda ad accendere i motori dell’Italia. Avanti piano, però. Ogni regione ha ormai la sua task force che pondera, studia, analizza, e permette al suo presidente di chiedere al governo – dati alla mano – più o meno la stessa cosa: aprire il 4 maggio.
Una delle ipotesi più concreta sulla quale si sta lavorando la spiega Fabrizio Starace, psichiatra del Consiglio superiore di sanità e componente della task force. L’idea è quella di aperture differenziate tenendo conto delle caratteristiche dei vari territori. Un riavvio nazionale lasciando spazi alle regioni, a quelle che hanno un numero ridotti di contagi verrebbe infatti lasciata la facoltà di anticipare la riapertura di attività non distanziate. In Basilicata, per fare un esempio, potrebbero riaprire prima barbieri, parrucchieri e estetisti, che non in Lombardia.
Ma al lavoro, shopping, tempo libero, ci attende una vita a turni scaglionati, in fila. Ovviamente sempre con mascherine, guanti e distanze. Ma soprattutto quasi tutti i tre milioni di lavoratori in smart working potrebbero dover rimanere a casa ancora per un bel po’ di mesi. Il commercio, che è uno dei settori più esposti al contagio nei due sensi, deve comunque ripartire per rimettere in moto il pil. Ieri è stata un’altra giornata frenetica di videoconferenze, telefonate a tutto campo tra quasi tutti gli interlocutori tecnici a vario titoli coinvolti, più esponenti di Mise, Salute, palazzo Chigi, Interno, per monitorare la situazione e promuovere la fase 2 che, è ormai certo, non partirà lunedì 20. Si cerca quindi di riaprire qualcosa sette giorni dopo, ma non c’è piena condivisione anche se sarà difficile mancare il 4 maggio, giorno indicato dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte come quello in cui l’Italia-spa rialzerà le saracinesche. Tutto dovrebbe avvenire sulla base della curva epidemiologica, della tavola sinottica dimostrativa, dell’esperienza fatta i altri paesi e applicata in Italia: per comparti, per grado di rischi, di protezioni e della capacità di resilienze. Ma soprattutto al termine di un continuo braccio di ferro fra Roma e le regioni che si cercherà di comporre nel weekend nella riunione annunciata dal ministro Francesco Boccia.
Sta spuntando anche la proposta di matrice governativa di fare un tavolo tra Sviluppo, Salute, Presidenza del Consiglio, Viminale da una parte, associazioni di categoria dall’altra per stendere un protocollo su requisiti e controlli per rimettere in moto la macchina. I tempi così si allungano, ma dalle interlocuzioni stanno emergendo alcuni punti fermi da declinare. Chi lavora da remoto continuerà a farlo per altri mesi: il primo riferimento è alla pa, e non solo, così come accade negli Usa e Germania. Questo per non congestionare i trasporti, specie quelli pubblici che rappresentano un pericolo di contagio, e devono trasportare i pendolari. Fonte: Mattino.it