A. Floro Flores: “Troppa ipocrisia da parte dai politici. Il mio sogno? Fare l’allenatore”

L'ex attaccante di Napoli, Sassuolo e Casertana ai microfoni del CdS

Antonio Floro Flores: 570 presenze e 116 reti da professionista e un primato difficile da battere: è l’unico calciatore italiano ad aver indossato la maglia della Nazionale da svincolato.  Ecco quanto detto nell’intervista al Corriere dello Sport. 

 

Il 29 gennaio ha smesso di giocare, vive a Udine, in isolamento con la sua famiglia: «Mi manca il calcio e mi pesa non poter uscire di casa. Che rabbia vedere gente in strada, senza motivo, mentre c’è chi aspetta di tornare a lavorare perché è rimasto senza un euro in tasca».

Lei non le manda a dire, qualche giorno fa se l’è presa con i politici italiani. «Guadagnano un sacco di soldi e chiedono sacrifici ai calciatori, che sono i primi a fare beneficenza. Accetterei lo sfogo da un cittadino comune, ma non da loro. La cassa integrazione? E’ un modo per aiutare i presidenti di Lega Pro che ci rimettono di tasca propria. Penso a Giuseppe D’Agostino, il presidente della Casertana: si alza alle 3 del mattino per andare a lavorare, è una persona eccezionale».

I primi calci nella sua Napoli: una città che le ha dato tanto, ma che ha pure provocato grossi dispiaceri.
«Nel 2004, dopo il fallimento del club, qualcuno della società disse in giro che avevo rifiutato di ripartire dalla Serie C. In relatà non mi vollero loro. Avevo 19 anni, ho pianto e sofferto in silenzio, sono stato cacciato dai ristoranti di Napoli, mi hanno danneggiato l’auto sotto casa dei miei genitori. Da idolo sono diventato un nemico. Io, che ho il sangue azzurro nelle vene».

Dopo Perugia e Sampdoria, l’Arezzo allenato da Conte e Sarri. Cosa ricorda di loro? «Conte ha sempre avuto la mentalità vincente, ma nel 2006 aveva appena iniziato ad allenare. Noi calciatori non lo aiutammo molto e fu esonerato. Sarri aveva idee all’avanguardia, praticava il tiki-taka quando in Italia si giocava con il “palla lunga e pedalare”. Fosse nato in Spagna sarebbe arrivato prima in Serie A».

In tanti ricordano il suo no alla Juve e l’esperienza al Sassuolo del presidente Squinzi. «Ero giovane. Fossi andato alla Juventus, magari avrei avuto una carriera migliore, ma non avrei giocato titolare. Non rinnego quella scelta. L’unica decisione affrettata l’ho presa per colpa di Guidolin, ai tempi dell’Udinese. Non andavamo d’accordo, scappai da lui e accettai l’offerta del Granada. Furono sei mesi difficili e tornai al Genoa. Il Sassuolo? Un raggio di luce in un periodo buio. Sarò sempre grato al presidente Squinzi, uomo d’altri tempi. Mi sono sempre chiesto cosa c’entrasse con il mondo del calcio. Ricordo che, dopo il 7-0 con l’Inter, anziché urlarci contro per la sconfitta, ci sorrise. Era dispiaciuto, non per il risultato, ma perché avevamo perso contro l’Inter: era un grande tifoso del Milan. Sognava di portare il Sassuolo in Europa e ci è riuscito».

Al Genoa ha giocato con Immobile, ora si diverte con la Totti Sporting Club a calciotto. «Ciro era già bravo nel 2013, ma devo essere sincero: non mi aspettavo diventasse così forte. Con Totti si gioca sempre seriamente, gli avversari fanno di tutto per metterlo in difficoltà. Quasi mai ci riescono».

Cosa c’è nel suo futuro? «Voglio allenare, prenderò il patentino appena il virus ci darà tregua. Negli ultimi mesi ho aiutato il direttore Violante con il settore giovanile della Casertana, magari a Caserta ci torno per allenare». 

La Redazione

 

 

 

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