«Lo dice il poeta: a porte chiuse il calcio scompare», così Beppe Severgnini sul Corriere della Sera. Errore: a porte chiuse il calcio riappare. Lo dico io, (Zazzaroni) che non sono un poeta, solo un giornalista sportivo.
A porte chiuse, per tutto il tempo in cui dovrà sottostare a questa condizione, il calcio riacquisterà il suo significato originario, la sua umiltà e la sua nobiltà, accantonando le tante miserie, e sarà un bene per tutti. I calciatori dovranno dimostrare quanto valgono sul piano tecnico e del carattere senza il contributo di stimoli esterni. L’arbitro con poca personalità non subirà i condizionamenti “della bolgia”. Non sentiremo cori contro i giocatori di colore, né contro i napoletani. Non saranno esposti striscioni di odio. Per un po’ nessuno ci spiegherà che i buu razzisti sono semplicemente degli sfottò. Seguiremo le partite alla televisione prendendocela con il telecronista che non becca un giocatore o il commentatore che chissà cosa avrà visto. Ma tanto loro non ci sentiranno. Apprezzeremo la partita in sé, le giocate, gli atteggiamenti, i disegni tattici, le strategie, il calcio più autentico, l’originale. Che può avere appassionati che vanno ben oltre lo stadio vuoto.
Io che non ho vissuto a Washington DC, ma sono cresciuto a Bologna PCI e da un po’ vivo a Monza MB, riprendo le parole di uno scrittore amatissimo dai calciofili intellettuali (come Severgnini, immagino), Eduardo Galeano: “Ci sono alcuni paesi e villaggi del Brasile che non hanno una chiesa, ma non ne esiste neanche uno senza un campo di calcio”. Dove il pubblico non è necessario.