Roma – Non è inopportuno parlare di soldi che, anche in una situazione come quella attuale, contano. Soprattutto se, nel calcio, riguardano un elevato numero di professionisti non milionari. La materia però innesca due trincee:
- da un lato l’Aic, interprete il vice presidente Umberto Calcagno,
- dall’altro la Lega Pro per bocca del numero uno Francesco Ghirelli.
Quest’ultimo prende spunto dall’assemblea di due giorni fa: «È emersa un’estrema pesantezza della situazione per i club, siamo per molti alla fase del non ritorno. L’intersecarsi del rischio della chiusura delle proprie aziende di famiglia e i costi da sostenere per la gestione del club di calcio aumenta la gravità della situazione».
Una sensibilità che, a pelle, riceve male certe osservazioni: «Proprio perché viviamo questa situazione terribile, seguiterò ad usare un vocabolario dai toni bassi. Vorrei, altresì, rispondere ad alcuni concetti contenuti nelle parole di Calcagno come “Basta strumentalizzare l’emergenza….” o “Demagogia… – riferita al taglio degli stipendi. – il conto non possono pagarlo solo i calciatori”. Ho detto che userò un vocabolario dai toni bassi anche se qualcuno dei miei presidenti avrebbe più gradito che rispondessi con toni alti. Nessuno pensa che debbano pagare i soli calciatori. Il vero rischio è che i presidenti rischiano di veder fallire le proprie aziende e trovarsi con le pezze ai pantaloni. Ecco il punto centrale del ragionamento: il calciatore potrebbe trovarsi senza più le società e quindi senza lavoro. C’è bisogno di grandi sacrifici per salvare il calcio.
È finita una stagione, per i calciatori della Serie C non dorata come quelli della Serie A, ma migliore degli operai che sono già in cassa integrazione e che sono grati per ricevere tale aiuto e non è demagogia. Occorre comprendere con chiarezza, e prima lo si capisce e meglio è, che il dopo virus determinerà un disastro con la possibile scomparsa di un numero preoccupante di club. Non ho nulla da nascondere, avevamo fatto una trattativa, sono andato in assemblea ed è emersa una situazione al limite della rottura delle aziende calcio. Bisogna tornare a sedersi e abbiamo l’obbligo morale e civile di trovare una soluzione. Dobbiamo ricostruire il giocattolo oppure non ce ne sarà per nessuno». Fonte: CdS