Un gruppo orgoglioso, l’orgoglio di essere tale. Contro il potere, i cori, le situazioni sfavorevoli. Non solo calcio, molto di più. Ancora si pensa agli episodi, ancora si fa polemica. Ancora si parla solo di quella monetina, di quelle maledette 100 lire…Le 100 lire che compiono 30 anni. Alemao ricorda ogni istante di quel giorno. E anche di quelli dopo.
Iniziamo dal principio: è l’estate di Maradona che sogna il Marsiglia. «Anche io e Careca non andammo in ritiro. Eravamo con il Brasile per la Coppa America e per le qualificazioni a Italia 90. Venne Ferlaino a trovarci in Sudamerica e ci disse che mai avrebbe venduto Diego. Tornai solo dopo che si erano giocate tre partite, a Verona. Ma da titolare il mio esordio fu con la Fiorentina al San Paolo: dopo 45′ eravamo sotto 2-0, entrò Maradona e sbagliò un rigore. Sembrava finita, ma rimontammo 3-2. Quel giorno avemmo al certezza di essere un gruppo molto solido».
Come arrivò a quel campionato? «Ero infastidito da alcune voci che mi volevano al Genoa. Non capivo. Avevo vissuto un anno drammatico, perché per una Epatite B a Napoli ho rischiato di morire. Venni ricoverato con urgenza e in quei giorni al Policlinico, travolto dall’amore dei tifosi, promisi che avrei fatto di tutto per regalare una vittoria. E rientrai dopo tre mesi, in tempo per la cavalcata finale della Coppa Uefa, con il mio gol a Stoccarda».
Che cosa scattò in voi? «L’orgoglio, perché eravamo noi contro tutti. C’era in noi la sensazione di avere tutta l’Italia contro. È una cosa complicata da spiegare, ma eravamo davvero da soli contro tutto il Nord. Ogni gara che giocavamo lontano dal San Paolo venivamo accolti come dei nemici, con striscioni di insulti, cori razzisti, sentivamo come ci fosse un clima di odio. E questo ci aiutò moltissimo a superare i momenti di difficoltà, perché l’orgoglio scattava ogni volta. Sembra una parola esagerata, ma sembrava una guerra contro il Napoli».
Maradona divenne il simbolo di questa rivalità. «E al Mondiale ne pagò il prezzo. Ma anche noi pagammo il prezzo dell’amicizia con lui: dopo Brasile-Argentina ci fu qualche dirigente della nostra federazione che ci accusò di essere stati teneri con Diego e per questo eravamo stati eliminati. Colpimmo tre pali in quella partita a Torino e ci punì solo un gol di Caniggia».
Torniamo a quella splendida cavalcata del 90. «Dopo Bergamo tutti si scatenarono contro il Napoli e contro di me. Ma questo ci aiutò a trovare compattezza e non ci fermammo più: la domenica decisiva andammo a Bologna e io feci uno dei 4 gol. Più di mezzo stadio era azzurro, ricordo i cori delle curve e i boati ogni volta che a Verona succedeva qualcosa. Con la Lazio fu solo una formalità».
Cosa è stato decisivo, Maradona a parte? «L’intelligenza e la serenità di Bigon sono state fondamentali nel gestire quel gruppo. Non era facile prendere il posto di Bianchi e i problemi da affrontare erano molti. Ma alla fine, alla sua maniera, Bigon ti portava sempre dove voleva lui. Ma quello fu lo scudetto di chi stringeva i denti per far fare gol a quel trio stupendo, penso a Crippa, Francini, De Napoli, Ferrara».
Il tempo vola via. La tempesta coronavirus in Brasile? «Sono a Lavras e la situazione non è tranquilla. Andiamo in giro con la mascherina e tra mille paure. Spero che passi presto».
Fonte: Il Mattino