C. Ferlaino: “De Laurentiis rappresenta il contro-potere tecnico e gli hanno soffiato lo scudetto nel 2018”

Il presidente dei due scudetti ai microfoni de "il Mattino"

Il momento del nostro paese non è dei migliori, vista la pandemia Coronavirus, così il mondo del calcio si è adeguato in attesa di tornare al campionato. Le pagine odierne de “il Mattino”, ha intervistato il presidente dei due scudetti del Napoli Corrado Ferlaino.

Le giornate interminabili di Corrado Ferlaino come si evolvono?  «Vi sembrerà strano, ma evitando la televisione: sentir parlare di picchi, di numeri di morti, di contagi, di un terrore crescente mi mette tristezza. E allora affogo le mie ore nella lettura di qualche buon libro e anche lavorando, facendo progetti: io sono proiettato nel futuro, anche se tra un po’ compirò 89 anni, ma la mia mente è rivolta al domani e sarà così, immagino, anche alla vigilia dell’ultimo saluto».

È un modo per esorcizzare la paura, verrebbe da sospettare. «O per scansarla: anche se non credo sia possibile. Non voglio informarmi nel dettaglio su ciò che sta succedendo nel mondo, su quanta gente sia stata uccisa da questo virus pazzesco che sembra indomabile ma che invece verrà in qualche modo sconfitto dalla ricerca: però non sappiamo quando e ciò finisce per toglierci energia. E io non voglio perdere la speranza dinnanzi ad uno schermo che mi inonda di pessime notizie. Sto qua, in casa, disegno, fantastico sulle prossime costruzioni, do una mano ai miei figli che sono impegnati nel mio stesso ramo – Tiziana e Giulia – e parlo al telefono con Cristiana che fa la mamma; sento Luca, che è impegnato nel mondo del marketing, e poi chiacchiero con Francesca, che ha una cattedra a Innsbruck e, lo dico con orgoglio, è una scienziata ricoperta di riconoscimenti».

Corrado Ferlaino nasce nel 1931 «Ma non mi chieda degli istanti bui: ho rimosso la guerra e anche il colera, tutte le brutture attraversate. Voglio un pizzico di leggerezza e anche la tranquillità che certi ricordi mi sottrarrebbero, e questo mi sembra il momento peggiore, perché è tutto fermo, la vita stessa. Mi è venuto naturale, non faccio nessuna fatica. Me ne sto con le immagini più liete, quelle che mi ha regalato il calcio: i due scudetti, la coppa Uefa, le due Coppe Italia, la Supercoppa».

Ma così si è costruito un passato perfetto. «E almeno vivo in questa bolla gioiosa e faccio a meno di tormentarmi con i passaggi meno lieti dell’esistenza. Forse sbaglio, ma perché devo costringermi alla malinconia? Starsene in casa non è semplice, anche se non posso dire che sia un sacrificio: però mi piacerebbe l’aria aperta, la passeggiata tra la gente che ancora adesso mi manifesta il proprio affetto e la sua simpatia, forse anche l’amore. Sono belle sensazioni, dopo che da presidente non mi sono goduto granché, perché dietro ogni partita c’era sofferenza. Le vedevo a metà, non avevo la forza di restare a seguire anche il secondo tempo, quello nel quale si decide il risultato. Uscivo dallo stadio, cominciavo a girare in macchina o, se stavamo in trasferta, me ne andavo in aeroporto, in taxi, o dove capitava. L’unica volta che rimasi fu a Torino, nella stagione del 3-1 alla Juventus, quello dello scudetto, seduto al fianco dell’Avvocato Agnelli – una delle più belle figure italiane – dal quale venni ricoperto anche di complimenti. Non vincevamo da ventinove anni in casa della Juve e quella volta lo facemmo persino con il gol del 3-1 forse in millimetrico fuorigioco. Cose mai viste, verrebbe da dire».

La sua distanza dal calcio ora è siderale. «Non vado allo stadio, ma seguo le partite, perché mi diverto e la passione non è mai sfiorita; e poi mi scaldo per il Napoli. Ma in generale sono quasi tutto, non mi faccio mancare i quotidiani sportivi e resto aggiornato».

Lei è uscito dal Napoli agli inizi del Terzo Millennio, quando era un altro calcio. «Diverso e però eguale. Ora mi viene il sospetto che alcuni dirigenti non abbiano ancora compreso la portata di questo dramma, lasciandosi ispirare nei ragionamenti dai propri interessi: la Juve vuole chiudere il campionato perché così lo vincerebbe, chi sta in coda o teme di retrocedere fa altrettanto per evitare la serie B. E invece servirebbero idee fondate sulla collaborazione e attraverso la costituzione di un pensatoio che studi formule e sistemi per ripartire».

E’ già così difficile far andar d’accordo due persone e lei immagina persino un consesso allargato? «Io penso che Agnelli sia una certezza e un referente che, nel confronto, tornerebbe utile; così come Lotito, che ha interessi divergenti da quelli della Juventus. E poi, super partes, chi ha dato dimostrazione in campo e fuori di essere illuminato: mi piace molto Percassi, che ha costruito un autentico miracolo; e propenderei poi per De Laurentiis che, negli ultimi campionati, ha rappresentato con il Napoli il contro-potere tecnico. Nel 2018 lo scudetto gli è stato negato, diciamo così, dalle decisioni di Orsato in Inter-Juventus. Perché quello scudetto sarebbe finito qui da noi».

Il virus ha denudato il calcio e l’ha esposto alle sue debolezze, alle fragilità e anche agli errori di gestione: ci sono bilanci che lasciano sconcertati. «C’è stata una escalation paurosa, con calciatori che guadagnano molto più di quanto guadagnino i loro presidenti. E come è possibile che ciò accada? Mi aspetto ripercussioni per il Paese sotto il profilo finanziario, la ripresa sarà lenta e faticosa, e in assenza d’una presa di coscienza, nulla nel calcio sarà immediatamente come prima».

Travolti dalla crisi, quindi soffocati fino alle estreme conseguenze…? «La rovina è dietro la porta, perché la ragionevolezza durerà un attimo. Poi, tranne per chi ha già dimostrato lungimiranza, si tornerà a correre verso l’acquisto più costoso, il contratto più elevato, i bonus più invitanti. Il sistema è corroso da dentro, ci sono procuratori – e a me non stanno simpatici – che giocano su più tavoli, perché vivono di provvigioni e ogni cessione muove capitali. E a loro non interessa altro che spostare i propri assistiti. Negli Anni Ottanta, gli incassi erano limitati al botteghino, al Totocalcio, a qualche sponsor che cominciò a comparire. Ora la Champions è un gettito di danaro che però viene bruciato, spesso, da spese colossali che non arrecano beneficio. Quanti sono i calciatori al mondo che cambiano, sul serio, la fisionomia di una squadra? Senza voler essere paradossale, ma Messi, altrove, farebbe vincere come riuscì a Maradona con il Napoli e l’Argentina? Ne dubito, perché fuori dal contesto Barcellona, con la sua Nazionale, non mi sembra sia riuscito ad ottenere risultati indimenticabili».

Lei sta demolendo sei palloni d’oro. «Io sto esprimendo la mia opinione applicata alle verità. Perché non credo che Messi, inserito altrove, sia capace di far vincere a un club ciò che quel club non è stato in grado di conquistare fino a quel momento. Neanche Ronaldo ha portato la Champions alla Juventus, però le ha ridato in scioltezza lo scudetto che il Napoli le aveva quasi strappato. Ecco, questo tipo di giocatori fanno la differenza, gli altri si limitano a migliorarti un po’».

Il calcio spinge alla follia e lei ne fece, costretto dall’avvento di Berlusconi. «Lui aveva Mediaset, io le mie amicizie, per esempio Biagio Agnes, direttore generale della Rai; ed ero Consigliere Federale. Era una stagione felice per il Sud e per la Campania in particolare, c’erano Ministri e un mondo che, confesso, mi ha aiutato. Ma Maradona ha contribuito a scrivere un’epoca nella Storia e devo dire che ne è valsa la pena».

 

Ma oggi, se Ferlaino fosse nel calcio, per cosa si batterebbe: continuare o cancellare la stagione? «Se posso prendermi una licenza, io la fermerei soltanto se il Napoli fosse in testa. Ma il momento richiede risposte serie: penso sia giusto, quando sarà possibile, andare avanti. Perché, faccio un esempio, sarebbe tremendamente iniquo negare al Benevento la promozione in serie A. Ha 20 punti di vantaggio sulla seconda, ha perso solo una partita e le ha praticamente vinte tutte. Si rende conto: 20 punti. Dev’essere bravo sul serio Pippo Inzaghi, e lo è stato il presidente, Vigorito: azzerare questi sforzi sarebbe un torto insopportabile. Ci sarà un giorno in cui ne usciremo e allora che si riparta e si concluda, senza porsi date, arrivando in estate e anche oltre, ritardando l’inizio dei prossimi tornei. Si trovi un modo ma il campo vuole vincitori, non assegnazioni a tavolino, né l’oblio: in Inghilterra, il Liverpool che dovrebbe fare, buttare via la Premier? Il calcio avrà di nuovo il suo tempo e dovrà ricominciare da dove si è fermato».

Ha ancora contatti con questo mondo? «Pochi, occasionali: qualche dirigente, qualche giornalista amico, qualche calciatore. Sono stato a Rio, un paio d’anni fa, e il club Napoli organizzò il Capodanno per me facendomi la sorpresa di farmi trovare Careca e Alemao. E’ stato un San Silvestro indimenticabile, uno dei più belli della mia vita».

L’Italia soffre ovunque, piange i suoi morti ma a Bergamo e Brescia più che altrove: e quelle sono le due città, quella di nascita e quella di residenza, dell’allenatore del primo scudetto, di Ottavio Bianchi. «Non ci sentiamo più, forse non ci siamo mai più sentiti dopo l’ultima separazione. Però mi ha dato una bella idea: mi dìa il numero, voglio chiamarlo». 

La Redazione

 

 

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