Medici in soccorso da Tirana. L’Italia è stata conquistata dal gesto e dalla solidarietà di Edi Rama, Premier dell’Albania ai microfoni del Corriere dello Sport.
Il ct Edoardo Reja cosa dice? «E’ stato un gesto straordinario, a dimostrazione di quanto questo popolo sia sempre stato vicino all’Italia. Edi Rama ha dato la disponibilità e ha inviato i migliori medici albanesi in una zona colpita come Bergamo, dove io sono stato ad allenare. Per me è stata una gradita sorpresa, mi sento orgoglioso di guidare la nazionale albanese. Nelle ultime ore mi sono arrivati tantissimi messaggi: giocatori, allenatori, semplicemente amici e conoscenti, tutti sono stati colpiti dall’umanità dimostrata da Edi Rama e dal popolo albanese. Penso sia un esempio da divulgare a livello mondiale. Una nazione meno ricca rispetto a tanti altri Paesi in Europa ha dimostrato una solidarietà senza eguali».
Se lo aspettava? «Conosco bene Edi Rama, è stato anche un po’ lui a convincermi ad accettare la proposta della federcalcio albanese. Lo avevo conosciuto a Roma, quando allenavo la Lazio e dopo una partita con la Juve, di cui è tifoso. Venne con Igli Tare. Organizzammo una cena nel mio albergo vicino a Ponte Milvio, presente anche Lotito. Conosco la statura e lo spessore dell’uomo. L’anno scorso mi ha telefonato per dirmi: “Cosa fai a casa? Perché non vieni ad allenare l’Albania?“. Oggi mi sento ancora più contento e orgoglioso di aver detto sì».
Com’è la situazione in Albania? «Da quello che so la diffusione del virus è limitata. Edi Rama, dopo i primi casi di positività, è stato molto deciso e ha chiuso subito tutto. Coprifuoco dalle ore 13 sino al giorno successivo, nessuno per la strada. Ha fatto benissimo considerando come potrebbe diffondersi. La sua disponibilità verso l’Italia è da considerare doppiamente generosa perché a livello ospedaliero in Albania sono a buon livello, ma non hanno le nostre stesse strutture e se l’epidemia dovesse ampliarsi farebbero fatica ad assorbirla. Per fortuna con le misure di restrizione sono stati tempestivi. Sono stati colpiti dal virus due funzionari della federazione, ma ne stanno uscendo. La situazione sembra sotto controllo».
La vicinanza del popolo albanese, rispetto ad altri paesi europei, fa piacere agli italiani. «Tutti sappiamo da dove viene questa situazione. Dall’estate del 1991, quando 25 mila migranti albanesi vennero accolti e ricevuti in Puglia. Un atto di straordinaria umanità ora ricambiato. Edi Rama ha voluto dimostrare che la storia si conosce e non si dimentica. Anche adesso, a distanza di trent’anni, gli albanesi parlano benissimo degli italiani. Hanno più considerazione loro degli italiani che noi stessi. Ci vogliono veramente bene. A Tirana, ve lo garantisco, si parla in italiano dappertutto»
Che popolo ha conosciuto? «Ho parlato di Edi Rama e non posso dimenticare Armand Duka, il presidente federale. Noi della nazionale, dal punto di vista umano e non solo sportivo e organizzativo, ci sentiamo in ottime mani. Sono due personaggi di grande spessore. Alla Lazio, prima di questa esperienza, avevo lavorato a stretto contatto con Tare. E’ un popolo generoso, di grandi ideali. Vi racconto un aneddoto. Alcuni operai albanesi finirono di costruire la mia casa a Lucinico. Ne apprezzai l’umanità e la capacità lavorativa. Non avevano orari, andavano avanti 10 ore al giorno. E’ gente che dimostra sempre voglia di lavorare e necessità. E si sono integrati. Ci sono 600 mila albanesi tra Gorizia e Torino, in tutta la pianura Padana, senza contare quelli in Sicilia»
Sul collio goriziano come va? Addio bicicletta? «Mi devo accontentare della cyclette in casa e di alcuni attrezzi da palestra per mantenermi in forma. Per fortuna ho il giardino e si va verso la primavera, il tempo lo passo a curare il prato e le piante».
Che effetto fanno le frontiere chiuse? «Qui a Gorizia siamo tornati a prima del Duemila, quando avevamo le reti, le barriere e i confini. Hanno chiuso tutte le strade di accesso alla Slovenia, come prima che entrasse in Europa. Ci sono rimasto male a vedere di nuovo chiuso questo rapporto giornaliero con i cugini sloveni. Mi trovo a tre chilometri dal confine con la vecchia Jugoslavia. Con il pensiero ritorno bambino. Ho in mente le sentinelle e le reti con il filo spinato alla stazione oppure sul collio goriziano, sulla strada diventata famosa per il vino e le cantine».
Cosa pensa del campionato italiano? Giusto portarlo a termine in estate o sarebbe meglio chiuderlo qui? «Sarebbe una fortuna per tutto il calcio, non solo italiano, anche se dovesse chiudere a luglio. I tempi non hanno importanza, ma sarebbe bello poterlo chiudere, girando pagina. Certo bisogna sperare che il contagio si fermi, sinora i risultati non sono ottimali, forse nel giro di due o tre settimane il virus si fermerà. Sarebbe una fortuna riprendere i campionati, ma anche la Champions e l’Europa League».
Bergamo è una città martoriata. «Ci sto male a vedere quello che sta succedendo. Ha dell’incredibile, è una cosa straziante. Penso ai medici, agli addetti ai lavori, a chi sta in prima linea. Non c’è neanche una morte con dignità. Vediamo andar via ottantenni, novantenni. Ci hanno fatto vivere in questo mondo, hanno fatto le guerre per darci una vita più dignitosa. Bisogna essere riconoscenti ed è veramente triste che muoiano così, senza avere la vicinanza degli affetti più cari verso l’ultimo saluto».
In Premier avanzano l’idea di chiudere la stagione a porte chiuse a luglio. «Loro ci riusciranno sicuramente. Mi auguro si riesca, con le garanzie dovute, a farlo anche in Italia. Non so se sarà possibile. I contagi nelle regioni settentrionali non lo permettono, speriamo che il virus non si diffonda al centro e nel meridione, altrimenti sarebbe tragico».
Lotito spinge, quando sarà possibile, per ripartire al Centro-Sud. «Resta il pericolo per chiunque viaggi. Potrebbe essere una grande idea, ovviamente giocando a porte chiuse. Sarebbe importante, lo ripeto, che si chiudessero campionato e Champions. Pensate all’Atalanta, stava vivendo dei momenti di gloria. A Bergamo, con tutto quello che è successo, neppure hanno avuto la possibilità di godersi quei successi. Di fronte alle tragedie umane ci si ferma. Ma il calcio trascina e, quando l’emergenza sanitaria finirà, ci aiuterà a ritrovare la spensieratezza. Diventerà un traino. Significherà essere usciti dal tunnel. Tutti guardano le partite».
La Lazio stava inseguendo lo scudetto. «Un sogno. La Lazio e l’Atalanta sono le due società più penalizzate. Parlo nell’ambito sportivo, da uomo di calcio e del momento che stavano vivendo, non certo della disperazione. Senza impegni europei, giocando una partita a settimana, Inzaghi aveva buone possibilità di riuscirci, arrivando davanti alla Juve. Mi sembrava un’opportunità unica e non è detto che ancora non ci riesca se il campionato ripartirà. Ma una cosa voglio dirla. Finalmente ho rivisto l’Olimpico pieno di laziali, di bandiere, di entusiasmo, con i bambini e la gente stretta intorno alla squadra per cantare l’inno tutti insieme. Spero di rivedere presto le stesse immagini, è un peccato essersi fermati nel momento più bello. Ora è il momento di pregare e di stringere i denti, ma sono convinto che quando il calcio ripartirà, la Lazio saprà regalarci ancora le stesse emozioni. Complimenti a Lotito, Tare e Inzaghi. Conosco bene il valore di chi conduce questa società. E lo stesso discorso riguarda Percassi, Sartori e Gasperini per l’Atalanta».
Dodici giornate compresse in un mese e mezzo d’estate. Cosa cambierebbe? «Diventerebbero tutte partite piene di calcoli. Sarebbe stato bello vederle in volata e con l’intensità di sempre. Non so cosa potrebbe venire fuori in estate, giocare ogni tre giorni non è facile, stressa dal punto di vista fisico, ma il calcio deve in qualche modo uscire da questa situazione e può essere l’unica soluzione, trovando uno spiraglio. Ci vorrebbero tre settimane di preparazione per riprendere. Non so se è praticabile l’idea dei play off. La Lazio meriterebbe di giocarsi lo scudetto sino in fondo, magari vincendo all’ultima giornata».
Con l’Albania stavate preparando la Nations League. «Le due amichevoli di marzo sono state cancellate, speravo a giugno di fare due partite con Armenia e Slovenia, ma rischiano di saltare. Si potrebbe andare direttamente a settembre. Vorrei inserire qualche giovane verso il 2024, ma in proiezione 2022 posso guardare avanti, ho una squadra relativamente giovane e ho creato una base durante le qualificazioni europee. Lo slittamento degli Europei al 2021 per noi non cambia niente, se non che mi sarebbe piaciuto seguire lo spettacolo. Sedici squadre erano attese dagli spareggi, non so quando potranno giocarli».
Cosa può insegnarci il coronavirus? «Una situazione così drammatica, spero ci faccia pensare e produca nel tempo una classe dirigente migliore. Siamo uno dei migliori Paesi per intelligenza, tecnologia, esportazione, eppure siamo tra i più indebitati. Come mai? Sarebbe il caso di meditare. Non so se l’uomo diventerà migliore, di sicuro andrebbe premiato di più il merito. Mi auguro che la politica si rivolga verso il merito e scelga personaggi competenti. Oggi manca soprattutto questo: la competenza».
Un messaggio di speranza? «Siamo in grandissima difficoltà su tutto, sul modo che avevamo di vivere, perché è arrivato un nemico inatteso. Siamo come in guerra. E’ crollata l’economia e la mia paura è che vengano fuori conflitti interni. Troppa gente avrà fame e difficoltà da superare. Spero che lo Stato e l’Europa si rendano conto delle necessità, umane e morali, del popolo. Bisogna lasciar stare gli interessi, pensando di più alla gente: la comunità europea dovrebbe essere questo, invece vediamo titubanze. Dal punto di vista morale e umano, le difficoltà forse ci aiuteranno a cambiare. Vorrei vedere più onestà e meno furbizia. Il calcio ci potrà portare un sorriso e un’idea positiva di ritorno alla normalità. Mantenendo fiducia, ne salteremo fuori».
La Redazione