Ulivieri (Pres. AIA) “Il sistema-calcio italiano rischia il default: che si fa? “

La situazione è complicata, oltre che nuova. Venirne fuori e trovare la “soluzione giusta, appare incredibilmente complicato. Ne parla il presidente dell’ Associazione Italiana Allenatori, Renzo Ulivieri ai microfoni del CdS. Spera che in un modo o nell’ altro, il campionato possa terminare…

«Io ancora spero che si riesca a finire il campionato, anche sforando di 10-15 giorni a giugno, anche giocando un giorno sì e uno no, ma cerchiamo di finirlo».
Bisogna pur fare i conti a fronte di uno stop. «Certo, però dico: fare delle previsioni oggi mi sembra prematuro. E chi ci rincorre? I tempi non li dettiamo noi purtroppo. Aspettiamo un mese, fine aprile, vediamo com’è la situazione. A quel punto il calcio italiano farà i conti di quanto ha perso e solo allora deciderà come muoversi».
Ma perché l’AIC in Italia o la Fifpro – il Sindacato Mondiale dei Calciatori – o comunque le varie Leghe non si muovono per convincere UEFA e FIFA a farsi carico dei danni? I soldi lì ci sono. «E’ la prima cosa da fare. E mi auguro che ci si muova in fretta. L’UEFA e la FIFA da decenni hanno riempito le loro casse con i soldi generati dal calcio, inteso come spettacolo e come prodotto da vendere. Adesso forse è giunta l’ora di pareggiare i conti. Ripeto: mi auguro che intervengano presto in modo da far ripartire il processo e investire su un nuovo calcio. Quando si parla di sistema-calcio bisogna considerare tutto il sistema, nessuno può chiamarsi fuori. Qui ognuno deve fare la sua parte».
Crede sia percorribile l’ipotesi del taglio degli stipendi dei calciatori? «E’ una possibilità concreta, ma parlarne oggi non serve, non abbiamo riferimenti. Anche i presidenti devono aspettare, non ha senso fare calcoli adesso. Ogni categoria, parlo dei lavoratori italiani, non solo di chi opera nel calcio, in questo omento ha rivendicazioni, ma bisogna avere pazienza. Ci sarà tempo per discuterne. Basta che su una cosa si sia tutti d’accordo: bisognerà fare dei sacrifici».
C’è una parte dell’Italia che chiede al calcio un gesto di responsabilità civile. «Parlo come cittadino: lo sai, a me l’economia di mercato mi emoziona poco, ma dal momento che c’è la devi accettare, così come devi accettare che Ronaldo e altri abbiano quell’ingaggio. Ma questi sono giorni di morti, di sistemi sanitari in difficoltà, di camion pieni di bare: c’è tempo per affrontare l’argomento stipendi. Piuttosto, lasciami dire una cosa».
Prego. «Anche gli allenatori saranno pronti a fare la loro parte. Ne ho sentiti tanti in questi giorni e quello che avverto è comprensione e generosità. Non è vero che i grandi allenatori vivono in un mondo a parte. Il mondo è questo, ci siamo dentro tutti, mi pare che questa emergenza ce lo stia dicendo chiaramente».
Allenatori disposti a tagliarsi lo stipendio, dunque. «Sì, a patto che lo faccia l’intero sistema: calciatori, dirigenti, amministratori, presidenti pagati dalla società per cui lavorano. E con una premessa: noi pensiamo sempre agli allenatori di Serie A, ma ci sono centinaia di professionisti, collaboratori, preparatori atletici, che hanno uno stipendio pari a quello di tanti lavoratori italiani: ecco, non mi sembra giusto andare a penalizzare loro. In ogni caso la guida deve essere la FIGC, anche se il rapporto è tra società e dipendenti, in questo momento così particolare mi sento di riconoscere l’autorità della FIGC».
Ulivieri, come se lo immagina il Nuovo Calcio? «Guarda, questa potrebbe essere davvero un’occasione per ripartire con un sistema più equilibrato. Come uomini di calcio, ma soprattutto come cittadini. Quando sarà finita e ripartiremo io farò l’autostrada San Miniato-Firenze a 90 all’ora, non un chilometro di più. E se uno mi «balugina» con i fari io non lo fo’ passare. Ad essere cittadini responsabili, si impara un po’ alla volta. Ci sono solo due strade: o si fa la rivoluzione o si rispettano le regole. E per vivere tutti meglio bisogna rispettarle».
A lei in questo momento cosa manca? «Mi manca di allenare la mia squadra (quella femminile del Pontedera, ndr), mi manca la socialità, la vita normale. Ma sto vivendo con serenità questo momento, i drammi veri sono quando vedo che la gente soffre o muore. Per farsi forza bisogna sempre guardare chi sta peggio». 

 

 

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