Ottavio Bianchi: “E’ ancora troppo presto per vedere la luce”

L'ex tecnico del Napoli è a Bergamo, da solo e senza i suoi figli
  Ottavio Bianchi, bergamasco, è stato il tecnico del primo storico scudetto del Napoli. Vive la quarantena nella città più colpita d’Italia dalla sciagura Covid-19. Ne parla ai microfoni de Il Roma:
Ottavio Bianchi si trova ad affrontare una nuova
battaglia, ma questa volta con un Paese intero.
Il momento non è semplice. Che aria si respira a Bergamo?
«A dir la verità non so dirlo perché sono chiuso in casa da quindici
giorni. Chiaramente non si vede nessuno passare per strada. Fino a pochi
giorni fa sentivo tantissime ambulanze, ma sembra che oggi la situazione
sia leggermente migliorata. Non vorrei che fosse una mia impressione.
Però è una cosa gravissima, dove gli ospedali sono strapieni, non c’è
una persona che si conosca che non abbia avuto decessi. Stiamo vivendo
una cosa epocale, come durante la Guerra Mondiale. Bergamo ha superato
di le vittime della Cina, che ha un numero impressionante di abitanti in
più».
Come sta vivendo questo periodo?
«Male, molto male. Sono chiuso in casa, i miei figli non posso vederli,
abbracciarli. La preoccupazione è tanta, anche di trasmettere o di
essere infettato. Praticamente sei da solo con tutti i tuoi problemi e
quando sei abituato a stare in giro, all’aperto, ti viene uno stato di
rassegnazione non adeguato al momento. Perché bisogna reagire, bisogna
fare qualsiasi cosa per tenersi rigorosi. La situazione però è molto
difficile».
Di situazioni difficili ne ha affrontate. Si sente di fare un paragone
facendo un tuffo nel passato?
«Purtroppo nella mia carriera ho avuto tanti giorni passati in ospedale.
Alcuni in reparto di terapia intensiva. Quando sei lì non pensi a
niente, sei talmente pieno di macchine che quando pensi di uscire e
continuare la vita immagini di andare in mezzo alla natura, a sentirla e
vederla mentre si sveglia. Non pensi a delle cose che ti sono successe
dal punto di vista professionale. Questo è un periodo analogo, solo che
oggi sei sveglio. Sai tutto, sei consapevole ma non sai cosa ci sarà
domani. Allo stesso tempo però la voglia è quella di poter uscire e
vedere che la vita continua non solo per me ma anche per gli altri. È
veramente una situazione dove la gente soffre, deve farlo in silenzio e
spesso ci sono anziani che sono soli in casa. Le cose negative sono
tante e fanno pensare a tutto, alla fragilità e la futilità della vita,
alle cose stupide per cui ti sei arrabbiato».
Numero di morti e contagiati leggermente in calo, seppur ancora alto. Si
inizia ad intravedere una luce?
«Purtroppo è ancora presto. Ci sono ancora persone che mi telefonano,
che sono sole in casa, ma non sono mai state visitate ed hanno questi
sintomi. Gli dicono cosa fare, ma non hanno mai fatto tamponi e sperano
solo di passarla liscia. Il numero esatto non si sa. Fino a qualche
giorno fa vedevo dieci telegiornali al giorno, ormai mi rifiuto di farlo
e ne seguo uno e basta».
Anche il mondo del calcio giustamente si è fermato. Sono stati commessi
degli errori?
«Nel calcio così come al di fuori, per arrivare a questo punto, gli
errori sono stati fatti. In questo momento però andare a puntare il dito
contro qualcuno non sarebbe corretto, ci sono delle vite in pericolo.
Chiaro che gli errori sono stati fatti. Ora sentiamo tanti parolai, ma
servirebbe stare zitti, presenti, darsi una mano l’un l’altro. Poi
quando sarà finita, se finirà, analizzare gli errori per non ripeterli e
lavorare tutti insieme. Le polemiche gratuite non portano a nessun
traguardo».
Un messaggio di speranza a tutti gli italiani….
«Non mi sento la persona più indicata, però dico a tutti di aiutarsi, di
stare attenti. Dobbiamo rispettare in maniera ossessiva ciò che ci
dicono. In questo momento bisogna dare retta a scienziati, medici, a chi
lavora in prima linea per riuscire a risolvere dei problemi anche più
grandi di loro».
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