Ottavio Bianchi, classe 1943, guarda la sua Bergamo dalla Città Alta. «Ho già vissuto questa paura di non farcela. Il primo anno a Napoli andai in coma per tre giorni perché non mi avevano curato bene una appendicite che si tramutò in una peritonite perforante. E in quel letto non pensavo mai a cosa avrei fatto una volta che sarei tornato a giocare, ma solo a tornare a vivere alla svelta e a cosa avrei fatto se fossi riuscito a salvarmi».
Il tecnico del primo scudetto della storia del Napoli racconta i giorni dell’angoscia. E quei sorrisi che arrivano solo pensando alla sua famiglia e agli anni gioiosi in azzurro.
Bianchi, e in quel letto a cosa pensava?
«Dicevo tra me e me: appena esco di qui prendo l’auto, vado sulla cima di una delle montagne delle mie valli e mi butto in un torrente a bere l’acqua fresca. Perché in quei giorni di coma avevo sempre sete. E fu la prima cosa che feci quando mi dimisero dall’ospedale e mi dissero che mi ero salvato».
Ora cosa farà?
«Appena questa tremenda emergenza passerà, andrò in campagna a godermi i prati in fiore, ad ammirare la primavera, a sentire gli odori dei prati e ad ammirare la rinascita della natura. La stessa rinascita che sarà anche quella di tutti noi».
Come è il mondo visto dalla sua casa di Bergamo?
«È triste. Non solo per quello che vedi. Non c’è nessuno in giro. Ma anche per quello che senti. Tutto intorno sei circondato solo da notizie di morte, di emergenze, di situazioni disperate, di ospedali strapieni che rischiano di non riuscire a curare tutti quelli che vanno lì. Di terapie intensive che scoppiano di persone bisognose. Non riesci a essere felice solo perché nessuno dei tuoi amici o dei familiari è stato colpito dal virus, senti come non mai di far parte di una collettività che sta soffrendo».
E lei come vive?
«Uscivo a prendere i giornali in edicola rispettando le distanze, evitando contatti ma da qualche giorno Camilla e Tommaso, i miei figli, me lo impediscono. Fanno tutto loro, compresa la spesa. Stanno attenti a me, come tanti figli in questi giorni con i loro genitori vecchietti ed evitano che possa correre anche il più piccolo dei potenziali pericoli. Poi, chiaro, c’è un po’ di fatalismo. Ma non il fatalismo del premier britannico. Quella è follia pura che non capisco come gli inglesi possano tollerare. Bisogna rispettare la salute degli altri e rispettare i provvedimenti delle autorità. Così ognuno di noi fa il proprio dovere».
Il tempo è fermo?
«Mi salvano i ricordi. Quelli di una vita intera. Da tre anni sono vedovo e qualche volta anche il calcio mi aiuta a regalarmi un sorriso. Chissà perché col passare degli anni dimentichi i momenti brutti e ti vengono in mente solo quelli gioiosi. Lo scudetto, la Coppa Uefa con il Napoli. Incredibilmente mi vengono in mente più adesso che nel passato. Napoli mi è rimasta nel cuore, spero che con la creazione della zona rossa la città sia riuscita a non precipitare nella tragedia come qui».
Maradona, lo sa, anche lui vive in isolamento in Argentina per timore del Coronavirus.
«Giusto essere prudenti, non correre rischi, non sfidare la sorte. Con Diego ho vissuto anni straordinari. Passerà indenne anche lui questo momento drammatico della nostra storia».
L’Atalanta ha regalato un sorriso alla Bergamo sofferente di questi giorni?
«Sì, perché qui il legame tra la città e la squadra è molto simile a quello di Napoli con il Napoli. I tifosi non dicono andiamo alla partita ma dicono andiamo all’Atalanta. Che significa tutto. Il passaggio ai quarti di finale di Champions è un momento magico, unico, indimenticabile. In un momento atroce».
Assurdo anche giocare in Europa?
«È grave che non abbiano fermato il calcio prima. Pensare minimamente che il Napoli potesse andare a Barcellona mi sembrava una sciocchezza enorme. Ma nessuno ha realmente capito l’emergenza in cui viviamo. Forse neppure tutti i virologi. E allora bisogna venire a Bergamo per capirlo fino in fondo. Ci avevano fatto credere che era una comune influenza, magari come lo abbiamo pensato noi lo hanno creduto anche quelli dell’Uefa».
La spaventa il dopo?
«Negli anni del dopoguerra vedevo gente arricchirsi in maniera spropositata mentre la maggior parte delle persone comuni soffriva la fame. Non vorrei che quando tutto questo sarà finito ci sia che si approfitti degli altri. Questo non deve succedere». Fonte: Il Mattino