E’ l’ultimo giorno di Carnevale, ma la mascherina non serve per far festa. E si sceglie di andare allo stadio, così. Luigi e Francesca hanno venti anni e arrivano da Pozzuoli, studenti universitari. «Tante persone allo stadio, è logico che vogliamo tutelarci. Non si sa mai» dice il primo. Di Francesca si scorgono solo gli occhi sotto una capigliatura bionda. Aggiunge: «È anche a tutela degli altri. Spesso si considera la mascherina uno strumento di difesa, invece è un qualcosa che si indossa per rispetto delle altre persone. Come in Giappone». Stessa fila, accanto agli studenti universitari di Pozzuoli, due ragazzini con mascherina. Il papà, senza, dice: «Finora da noi il virus non è arrivato, ma non si può mai sapere. Loro sono bambini ed è giusto difenderli». Il popolo delle mascherine emerge a macchia di leopardo. Ce ne sono tante, una verde ospedaliero lì, una bianca con filtro dall’altra parte, una di quelle che aderiscono alle labbra poggiata sul mento. «Scusi, e lei la mascherina non la mette?»: «Per ora prendo un caffè, risponde, poi quando andrò a fare la fila metto anche la mascherina».
IL Mattino