Il calcio a porte chiuse ha tanti precedenti: «E non è una cosa piacevole, ti viene a mancare il fondamentale contesto per giocare una partita». Alessandro Renica era in campo nella gara più celebre del Napoli disputata a porte chiuse, quella contro il Real Madrid del 16 settembre 1987, con il Bernabeu chiuso dell’assordante silenzio di un pallone che fa eco quando rimbalza.
Quanto pesò quel silenzio quel giorno? «Tanto, come sarebbe pesata in una qualsiasi altra gara. Il pubblico, il tifo, i rumori di uno stadio: sono quegli aspetti che rendono tale una partita di calcio. Anche le critiche che possono piovere dagli spalti sono importanti, perché ti caricano, anche quando sei in trasferta, ti danno quell’adrenalina in più che, forse, mancò, come sensazione, anche a noi quel giorno. Un conto è giocare nel palcoscenico classico di un match, un altro è svuotarlo e far apparire quella partita come una roba tra amici, anche se cerchi di dare il massimo».
Può incidere sui calciatori e sui risultati? «Si tratta di una questione molto soggettiva: ero uno di quelli che dal martedì fino alla partita, avevo sempre una disperata voglia di vincere. Ci sono stati altri miei compagni, anche negli anni di Napoli, che ai primi fischi si scoraggiavano subito. Io credo che un professionista debba sempre sentire al massimo la partita, che un professionista debba avere anche la forza di isolarsi. Il San Paolo è stato uno stadio che ci ha regalato spinte immense, ma anche bordate di fischi. Senza dubbio è uno stadio che ha determinato e che determina, come spero possa accadere contro il Barcellona, anche perché il Napoli è in un buon momento e può dare fastidio al Barcellona».
Si può parlare, in tal senso, di un campionato falsato? «Non saprei. Certo che se il cambiamento di scenario, con gli spalti vuoti, incide sui calciatori, allora può incidere anche sulle partite. Non credo, francamente che si possa arrivare a falsare un campionato, poi resta da capire quante saranno le gare che si disputeranno a porte chiuse. Immagino che giocando tutti a porte chiuse è una condizione pari per tutti: quindi potrebbe esser, tutto sommato, una questione che potrebbe non alterare la classifica finale. Tra l’altro, credo si tratti anche della decisione più giusta: ho letto che un primo contagio è arrivato da una partita di calcetto, che basta molto poco a far diffondere il coronavirus. Se si tratta di pochi match da disputare senza pubblico, allora plaudo alla decisione».
Il Mattino