Silvio Garattini: “Chiudere stadi e palazzetti è una decisione drastica”

Solo pochi giorni fa il coronavirus sembrava lontano dall’Italia. Oggi è un problema anche del nostro Paese, con le due persone decedute e i contagi in Lombardia e in Veneto. In dieci comuni del lodigiano è in vigore un’ordinanza per isolare chi ha contratto il virus. E lo sport – elemento in grado di aggregare migliaia di persone negli stadi e nei palazzetti – come dovrebbe reagire? A Cremona, per un caso positivo, sono state chiuse le scuole e annullate le manifestazioni sportive e culturali. Il Gos (Gruppo operativo sicurezza) ha preferito disporre il rinvio della partita contro l’Ascoli, che si sarebbe dovuta giocare in casa dei marchigiani, mentre la Serie A oggi scenderà regolarmente in campo. «Bisogna assolutamente evitare la psicosi collettiva» è il pensiero di Silvio Garattini, 91 anni, presidente dell’Istituto di ricerche farmacologiche “Mario Negri”.

Professor Garattini, lo spettacolo andrà avanti. La ritiene una decisione corretta?

«In questo momento non ci sono ragioni tali per sospendere le gare di calcio o di altri sport, almeno quelle che non si disputano nelle aree coinvolte. Credo che il governo abbia tenuto conto del fatto che il rischio contagio al momento sembra basso, anche se la situazione andrà monitorata ora per ora. Prendere delle misure restrittive non sempre è un bene. Si può creare una psicosi tra la popolazione. In generale, vale una regola: se una persona ha la febbre deve avvisare il suo medico, senza recarsi al pronto soccorso o andarsene in giro».

Cosa dobbiamo aspettarci nelle prossime ore?

«Esiste una responsabilità individuale, a quella dobbiamo appellarci. Chi ha avuto contatti con persone provenienti dalla Cina, cinesi o amici turisti, deve confrontarsi con il proprio medico o chiamare il numero di pubblica utilità 1500. Ricordiamo, però, che al momento ci sono 50 casi su oltre 60 milioni di abitanti. È un numero per fortuna ancora basso».

Esiste un limite numerico che, una volta superato, farebbe scattare l’allarme?

«Direi di no. In generale all’aumento dei casi corrispondono prescrizioni sempre più restrittive. L’obiettivo è far vivere alle persone una vita più normale possibile. In Cina sono morte 2.360 persone su 77.662 contagi. Come vede sono molti di più i guariti».

Che consigli state dando alle persone?

«Seguire le regole igieniche: lavarsi le mani con continuità, non toccarsi il naso e la bocca con le mani, non stare troppo tempo nei locali affollati e, in generale, nei luoghi dove gira molta gente».

Lo stadio è tra questi…

«Sì, ma nella maggior parte delle città italiane non c’è nemmeno un caso di coronavirus. Chiudere stadi e palazzetti è una decisione drastica che va presa quando c’è una reale emergenza».

Il direttore dell’Organizzazione mondiale della Sanità, Tedros Adhanom, ha detto che nell’80% dei casi il contagio è lieve.

«Il coronavirus ha una contagiosità relativamente bassa rispetto ad altri virus e si calcola una mortalità del 2%. Pensi, l’influenza fa 6000 morti all’anno in Italia. E nel nostro Paese muoiono in 10 mila per infezioni che sono resistenti agli antibiotici. Questo virus ha una sintomatologia simile a quella dell’influenza: raffreddore, febbre e bronchite che può esitare in una polmonite. Al momento non ci sono farmaci efficaci. Si spera che tra non molti mesi ci possa essere un vaccino».

Come si guarisce?

«In molti casi l’organismo vince da solo. Le sue difese impediscono al virus di moltiplicarsi».

Consiglierebbe agli sportivi europei che lavorano in Cina di tornare?

«Dipende dai casi e dalle zone in cui vivono. Gli 11 milioni di abitanti di Wuhan sono in isolamento e in altre grandi città sembrerebbero al sicuro. La situazione è in costante evoluzione, dobbiamo avere fiducia nella scienza». Fonte: CdS

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