Joan Gaspart diventò il nemico numero uno per la tifoseria del Napoli nei due mesi dell’estenuante trattativa per l’acquisto di Maradona, estate dell’84. Proprietario del lussuoso hotel che fu teatro delle operazioni, non lontano dal Camp Nou, Gaspart era il vicepresidente del Barça e fu l’uomo che si oppose più tenacemente alla cessione di Diego, da lui portato in Catalogna due anni prima. «E anche quella non fu una storia facile», sospira il dirigente entrato nella storia del club blaugrana per aver acquistato Maradona e Messi. Eccolo ai microfoni de Il Mattino:
Ci racconti cosa accadde a Buenos Aires, dottor Gaspart. «Avevo tentato di acquistare Maradona quando giocava nell’Argentinos Juniors, però il suo club e la federazione argentina si impuntarono e non riuscimmo a trasferirlo in Europa, anche se questa sembrava l’intenzione della sua famiglia e di chi lo seguiva da vicino. Tornammo alla carica nell’82, quando Diego era passato al Boca Juniors, e trovammo l’accordo con quella società. Ma ci un fu un altro problema, diciamo così ambientale, perché i tifosi scesero in piazza per opporsi alla partenza di Maradona. La tensione era molto alta in quei giorni a Buenos Aires. Per andare dall’albergo all’aeroporto fummo scortati dalla polizia e io mi rasserenai soltanto quando salimmo a bordo del volo per Barcellona. Incredibile».
Due anni dopo, estate dell’84, lei provò ad opporsi fino alla fine alla cessione di Maradona. «Accettai l’offerta di Ferlaino nell’ultimo giorno utile, quando il presidente del Napoli salì su un aereo privato e si presentò a Barcellona per chiudere: trovammo l’intesa a tardissima ora».
Ai tifosi del Napoli lei era stato subito antipatico perché respingeva le parole e i telex dei dirigenti azzurri. «Antipatico perché mi opponevo alla cessione a una cifra non vantaggiosa di un fuoriclasse come Diego? Perché curavo gli interessi del club di cui ero vicepresidente? La mia posizione fu dal primo momento molto chiara, all’interno del Barcellona come nei confronti del Napoli: se proprio dovevamo lasciar partire Maradona, perché era quella l’intenzione che il giocatore aveva manifestato, dovevamo farlo al miglior prezzo possibile. E questo accadde quel giorno, l’ultimo giorno di mercato».
Per Maradona gli anni a Barcellona furono tormentati. «Problemi fisici. Il gravissimo infortunio provocato dallo scontro con Goichoechea dell’Athletic Bilbao, poi l’epatite. A un certo punto, Diego ritenne concluso il suo ciclo in Spagna e decise di tentare l’avventura in Italia. Sono rimasto in eccellenti rapporti con lui, l’ultima volta ci siamo incontrati a Mosca: nel tempo ha capito il mio punto di vista e la mia fermezza».
Meno i tifosi napoletani. «Insiste… Sono stato a Napoli, a Capri, a Ischia: luoghi magnifici. I napoletani si sono goduti Diego per tanti anni, lui ha regalato a questo popolo due scudetti, mai vinti precedentemente. Quando sono stato a Napoli, mi sono reso conto di quale segno abbia lasciato Maradona: è considerato un Dio, anche se di Dio ce n’è uno solo… La partenza di Diego determinò una situazione di crisi del Napoli, che si è ripreso soltanto negli ultimi anni partecipando alla Champions League e lottando per il titolo in Italia».
Fu più semplice acquistare Messi per lei. «Una proposta di Rexach, che era il capo degli osservatori del Barcellona. Ero il presidente del club all’epoca e lo considerai un buon affare. Leo aveva 15 anni, era un bravissimo giovane calciatore e immaginavo che avrebbe occupato un posto importante nella storia del Barça. Poi è riuscito a diventare il migliore al mondo. A un certo livello sono arrivati in pochissimi: Pelé, Di Stefano, Maradona, Messi. E siamo orgogliosi che due di essi abbiano indossato la maglia del Barcellona».
È la maglia di Messi da vent’anni. Ma per quanto tempo ancora? Le voci su un suo addio sono insistenti, anche se lui ha smentito questa intenzione. «E anch’io sono convinto che Leo resterà a lungo, perché è un simbolo del barcelonismo e perché qui crescono bene i suoi figli. Tra Messi e Barcellona c’è stato subito grande feeling. Immagino che concluderà la carriera europea qui, con questa maglia. Poi potrà anche immaginare un’esperienza in Asia, Cina o Giappone. Ma credo che sia un pensiero ancora lontano per lui, che è sinceramente contento di vivere a Barcellona».
Tuttavia lo scontro con Abidal, capo dell’area tecnica, e le polemiche sulla presunta macchina del fango messa in azione dal club possono lasciare il segno. «Non mi sembra che nel Barcellona vi sia tutta questa tensione. Sono amico del presidente Bartomeu, conosco i suoi metodi di lavoro e sono sicuro che abbia operato nella massima trasparenza, assolutamente non contro i giocatori. Anche io, quando ero alla guida del Barcellona, utilizzavo queste informazioni social ma sempre con scopi positivi per l’immagine del club e della squadra. Non credo che questa vicenda possa avere riflessi sulla stagione, tuttora apertissima per il Barcellona, che è a un punto dal Real Madrid nella Liga e si prepara ad affrontare gli ottavi di Champions League a Napoli. L’aspirazione di tutti noi è poter vincere entrambe».
Messi nello stadio di Maradona: che notte sarà, al di là di questa suggestione? «Non bisognerà pensare neanche per un minuto al vantaggio di giocare la partita di ritorno a Barcellona, la squadra dovrà tentare di vincere a Napoli. E non sarà facile, perché affronterà un club di grande tradizione, che ha al proprio fianco un pubblico molto caldo, quello che si può tranquillamente definire il dodicesimo calciatore in campo».
Difficile anche se è evidente la differenza tecnica tra le due squadre? «La partita di Napoli è complicata, come tutte quelle contro le italiane: penso alle gare affrontate in questi anni con Juve, Milan, Inter, Roma. Non è vero che la serie A ha una qualità inferiore alla Liga e poi, se una squadra arriva agli ottavi di Champions League, vuol dire che ha valori tecnici. Non so quali siano stati i problemi del Napoli nel corso della stagione, però è arrivato alla grande sfida e una competizione come questa riesce a dare una carica particolare ai giocatori».
La Redazione