I clienti venivano agganciati attraverso siti vetrina, canali Telegram e gruppi chiusi su Facebook dai «resellers», i rivenditori del segnale illegale diffuso da chi lo origina: lì avveniva il primo contatto e venivano date indicazioni su come proseguire per poter fare l’abbonamento. Non solo. Gli accertamenti tecnici hanno anche portato alla luce un nuovo metodo utilizzato dalle organizzazioni che gestiscono le piattaforme pirata.
Prima c’era il cosiddetto napoletanissimo «pezzotto»: al cliente, in sostanza, veniva fornito un apparecchio per poter decodificare il segnale criptato. Oggi, invece, basta una semplice stringa di un codice che viene inviato attraverso whatsapp per poter accedere ai programmi. Il segnale viene diffuso via Iptv (Internet Protocol Television), un sistema che è perfettamente legale: la differenza sta nel fatto che le piattaforme pirata, dopo aver acquisito con regolari abbonamenti i palinsesti televisivi delle pay tv ufficiali, ricodificano il segnale assemblando i flussi dei singoli canali in un unico file, che è poi quello che riceve il cliente finale. In sintesi, il segnale viene «incapsulato» in un unico flusso dati e distribuito attraverso la rete. Si attendono gli altri nomi nel mirino. Fonte: Il Mattino