L’opinione – Ciccio Marolda: “A volte anche il catenaccio è utile alla causa”

Così Francvesco Marolda sulle pagine del CdS:

“Uno a zero alla Juve e uno a zero all’Inter in Coppa Italia. Due successi importanti. Perché il primo, in un campionato che in cima va avanti punto a punto, alla fine potrebbe costare assai caro al signor Sarri; l’altro, invece, potrebbe spalancare al Napoli la finale della coppa nazionale. Un caso per una squadra come il Napoli che sta vivendo una stagione buia come da tempo non gli capitava? Nient’affatto. C’è un fil rouge, infatti, che collega quei successi. C’è lo stesso atteggiamento della squadra. C’è la identica decisione di Gattuso di concedere poco o nulla alla fase offensiva e di dedicare, invece, quasi tutte le energie dei suoi a quella difensiva. Insomma: il risultato innanzitutto. Che potrebbe sembrare una piccineria per chi sino a ieri ha vissuto manie di gioco e di grandezza anche giustificate, ma che oggi, invece, risponde a un’esigenza chiara: quella di non prendere più gol. Di mettere un freno agli errori collettivi e agli orrori ora di questo ora di quell’altro difensore. E allora: Napoli più basso, linee di centrocampo e di difesa fitte e assai vicine, nessuna concessione di spazi e di profondità a chi sta dall’altra parte. Come dimostrato in quelle due partite dalle sofferenze di Dybala e Brozovic, privati di una delle loro qualità migliori: l’ultimo passaggio.
L’esaltazione del catenaccio? Può darsi. Ma quando ci vuole ci vuole, benedetto pallone. E ancora: Napoli provinciale? E chi se ne importa. Ci sono tempi, infatti, in cui anche un calcio paesano può, Dio voglia, rendere una stagione meno amara. Giusto così, allora. Giusto che il Napoli, se occorre, porti in campo cemento, mattoni e capimastri per alzare muri davanti alla porta. Vero, un po’ di buon palleggio c’è pure stato l’altra sera contro l’Inter, ma avesse ragionato così il signor Gattuso anche quando, appena arrivato, ha invece cercato ricami e ricamatrici, beh, forse oggi il Napoli li avrebbe tre o quattro punti in più per continuare a illudersi e a sperare.
Questo vuol dire che la strada maestra ora è tracciata? No. Questo no. Questo calcio non può che essere a tempo determinato. Non può che durare il tempo del bisogno, della necessità. Ma guai a pensare che possa andare anche più in là. Da fine maggio in poi, chiuso quel cantiere in area di rigore e salutati i capimastri, ci sarà bisogno d’esperti ingegneri e di architetti immaginosi, come direbbe Saba, che non amava il calcio, ma che al calcio regalò cinque poesie”.  

La Redazione

 

 

 

 

 

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