Stagione 1996-1997, il Napoli di Gigi Simoni è protagonista di un’ottima prima metà di campionato arrivando alla sosta natalizia al secondo posto (a pari punti col Vicenza) dietro alla Juventus. In Coppa Italia, elimina Monza, Pescara e Lazio. In semifinale gli sarebbe toccata l’Inter e gli azzurri – dopo l’1-1 dell’andata a Milano – si qualificano ai calci di rigore. Il primo della batteria dei 5 tiratori il terzino Mauro Milanese, oggi direttore sportivo della Triestina in serie C.
Cosa le fa venire in mente quella partita del 1997 al San Paolo?
«Ricordi bellissimi. Perché a spingerci c’era un pubblico eccezionale. In curva avevano preparato una coreografia con i nostri nomi illuminati con i fuochi d’artificio. Avevamo già battuto la Lazio e ci sentivamo carichi».
E allora ci dica della partita del 26 febbraio 1997, finita 6-4 ai rigori…
«Andammo sotto ma poi facemmo 1-1 con Beto al termine di una partita ricca di emozioni».
Poi i calci di rigore.
«Noi li segnammo tutti e 5, loro per fortuna no».
Il ricordo di quei momenti?
«L’attesa. L’attesa infinita. Nessuno voleva battere il primo rigore e così andai io».
Lei non doveva calciare?
«In realtà io ero indicato nel quintetto dei tiratori e in settimana avevamo provato tutti dal dischetto, ma dovevo essere terzo o quarto».
E allora?
«Tra crampi e paura, nessuno voleva battere. In quei momenti capisci che un rigore lo puoi battere sempre, ma in certi stadi e con una certa pressione la porta diventa più piccola e la palla più grande».
La sua attesa?
«Mi sono seduto sul pallone a centrocampo davanti a 80mila spettatori e ho cancellato ogni pensiero dalla mia testa. Mi sembrava di essere un gladiatore al centro del Colosseo. Ammetto che sul momento non sapevo nemmeno come tirare: avevo mille idee».
E poi?
«Feci finta di calciare col piattone e invece la misi in diagonale. Morale della favola: Pagliuca spiazzato, palla in rete e boato di tutto il San Paolo. Incredibile rispetto al silenzio tombale durante la mia rincorsa. Non male come soddisfazione, tanto più che non ero nemmeno uno dei rigoristi in campionato, perché in qui casi toccava sempre alle punte».
Quella vittoria che effetto ebbe nello spogliatoio?
«Sono partite che fanno scoppiare entusiasmo e la botta la senti subito. Fare bene, ti serve ad acquistare la consapevolezza e la speranza. Per non parlare dell’effetto che può avere vincere un trofeo».
Cosa vuol dire?
«Che al Napoli di oggi auguro di fare come noi in semifinale contro l’Inter, ma di fare meglio poi in finale, visto che noi perdemmo. La Coppa Italia è un po’ troppo sottovalutata, quando arrivi in semifinale vogliono vincerla tutti».
Il Napoli può contare su…
«Sul fattore campo. Perché giocare col San Paolo la gara di ritorno sarà un’altra cosa. Ricordo quando cantavano Oj vita mia… Indimenticabile».
Certe partite si vincono in panchina: quale fu il merito di Simoni?
«Simoni, un uomo d’altri tempi. Era un papà di famiglia e teneva molto bene lo spogliatoio. Sapeva che c’era già la spinta della piazza e non serviva aggiungere ulteriore pressione. L’ha gestita benissimo e ci ha dato tranquillità».
E oggi come le sembra Gattuso?
«Mi piace come allenatore. Ha ereditato una situazione difficile e sta tentando di superarla con la grinta che aveva in campo. Mi piacerebbe vederlo su una panchina dall’inizio di stagione. Ora secondo me non sta raccogliendo tutto quello che semina. Gli auguro anche un po’ di fortuna in più». Fonte: Il Mattino