Graziano Cesari: “Gli arbitri di oggi sanno tanto di tecnica e poco di calcio”. Giua? Ci sono altri mestieri!

Graziano   Cesari,   Ha chiuso   la sua carriera   nel 2002,   dopo una squalifica   dovuta alla partecipazione alla Domenica Sportiva  

Graziano Cesari analizza, giudica, suggerisce e si pronuncia, come quando era in campo, in Italia o all’estero. «Ogni volta diciamo che “è il momento peggiore del mondo arbitrale italiano”, perché così speriamo che da quel punto in poi si possa crescere. Con l’avvento della tecnologia, il VAR, tutti abbiamo fatto la riflessione se fosse ancora il caso o meno di continuare a commentare la moviola. Se ne parla più adesso che prima».

Eccolo ai microfoni de Il Corriere dello Sport

 

 Cesari, andiamo nel profondo: quale è il Male Oscuro dell’arbitro italiano? Il VAR, per assurdo, sta producendo danni, doveva essere il contrario. «Non si risponde con una domanda, però le chiedo e chiedo: sono tutti disposti ad accettare il salvagente, l’aiuto della tecnologia? C’è del masochismo, ma credo che molti vedano nel VAR il sacrilegio al loro potere decisionale, a quel potere che casacca, cartellini e fischietto conferisce. Ci sono arbitri intellettualmente intelligenti, che vedono la tecnologia come una parabola che li difende, ma ci sono, fra gli arbitri come nella vita di tutti i giorni, i presuntuosi».

Un paradosso, ma proprio i giovani, quelli più vicini alla tecnologia, sembrano rifiutarla.  «L’arbitro che ha più esperienza è anche quello che fisicamente è meno… all’avanguardia. E’ capitato anche a me, a 43/44 anni, di non stare più dietro a quelli più giovani. Ed ecco che per loro il VAR, usato con intelligenza, diventa lo strumento per compensare quel deficit naturale. I più giovani no: veloci, rapidi, guizzanti, lo percepiscono solo come un abuso alla loro autorità».

Alla fine di questa stagione, se non cambiano norme e regolamento, perderemo l’unico Élite che abbiamo, Orsato. Tre anni fa, 2017, ne avevamo ben quattro…
«La gestione dell’AIA in questo modo ha prodotto solo danni. Prendete la separazione delle CAN. La A, B e C “chiuse”, non scatena quella guerra che, invece, ai miei tempi c’era. Con soli 21 arbitri in serie A, è normale che, qualunque cosa tu faccia, dopo due domeniche sei designato di nuovo. Provate a fare una A con 40 arbitri, vedrete che lotta per emergere. A tutto vantaggio della qualità e della crescita. E poi, che programmazione ha fatto l’AIA? Non ha saputo guardare lontano».

Casarin è stato il suo designatore nei primi Anni Novanta. Alla Domenica Sportiva ha detto di Giua: se si lascia irretire da queste cose, ci sono altri mestieri. E’ un problema comune, non trova? «Ha detto bene Paolo, un designatore all’avanguardia, che introdusse i raduni tutte le settimane, l’appoggio dello psicologo per cercare di rimanere in equilibrio, di un allenatore – Roberto Clagluna – per spiegarci le situazioni di gioco. Un arbitro deve avere personalità, carattere, ma avere la forza per modificare una propria decisione. Bisogna mettersi in testa che il calcio di ieri non c’è più, è finito. Prima i palloni pesavano un quintale, erano di cuoio pesante, avevano le cuciture che li tenevano insieme. Oggi solo nuvole senza peso, tutti d’un pezzo. Eppure si continua a giocare comunque».

La sostanza è: aspettiamo ancora l’arbitro di domani. «Con due spiegazioni. Il regolamento è cambiato tanto negli ultimi anni, ci vuole tempo anche solo per fare casistica. Eppoi c’è il ricambio, che in Italia è stato fortissimo, forse troppo. Di nove arbitri attualmente internazionali, solo due hanno arbitrato qualche gara in Champions League, ovvero Massa e Guida. Cosa possono portare agli altri, in termini di esperienza, di esempio? E la spiegazione è sotto gli occhi di tutti».

Prego…  «Doveri è l’arbitro che più di tutti gli altri è cresciuto, è maturato. Eppure è diventato internazionale a 40 anni, fa poche gare all’estero, nessuna di primo piano. Come si fa? L’altro direttore di gara che ha fatto il salto quest’anno è Maresca, ad un patto: che non si esalti, è uscito dal derby di Milano alla grande ma...».

Dunque, il problema? «Gli arbitri di oggi sanno tanto di tecnica (o almeno lo spero), e poco di calcio. Non c’è crescita, non si può gettare nella mischia arbitrini alle prime armi in partite che spetterebbero a gente più navigata. Cosa ha imparato Giua, e prendo solo l’ultimo esempio, dopo Napoli-Lecce? Nulla, zero».

Parlavamo di programmazione. Forse anche la figura del designatore è stata ridimensionata. Citavamo Casarin…  «Fare il designatore, o meglio farlo come dovrebbe essere fatto, è scomodo, non si può fare l’amico di tutti. Bisogna prendere decisioni impopolari. E prima di Rizzoli, forse fare il designatore era visto come una tappa di passaggio per arrivare ad altre cariche. Non solo: prima davvero la nomina era annuale, la conferma te la dovevi sudare sul campo. Adesso si ragiona su quattro anni di tempo, che stimoli possono esserci? Gli arbitri hanno bisogno di esempi. A volte fermare un arbitro fa bene».

Ai suoi tempi si partiva dalla serie B.  «E non sa quanto bene ci serviva. Bello essere sempre sotto i riflettori di San Siro, dell’Olimpico, del San Paolo. All’epoca, quando tornavi in serie B, tornavi ad essere un arbitro normale. E quella normalità ci faceva bene, ci faceva crescere, ci dava la spinta per provare a riproporsi in alto».

Si è incrinata la fiducia fra gli arbitri le società, se un club come il Parma, il più “educato” di tutti, con una dirigenza che s’è affidata ad un ex arbitro (Pinzani) per rimanere nel solco, esce allo scoperto? «C’è un problema, sicuramente il VAR così come (non) viene utilizzato è dannoso, Parma e Napoli sono due casi, non gli unici». 

Il suo suggerimento? «Il VAR, così come è strutturato, è incompleto nella sua composizione: serve un ex giocatore, che conosce le dinamiche, che conosce cose che vengono insegnate loro dalla scuola calcio e che gli arbitri non sanno. Ancora: farei vedere le immagini sui maxischermi, con una spiegazione della decisione presa, stile Football americano. Informare significa anche prevenire. E poi dare la possibilità alle società di avere un challenge, uno per tempo, per chiedere una verifica, che spetta sempre all’arbitro centrale». 

Torniamo alla domanda iniziale: è il peggior momento arbitrale?  «Il peggiore, e l’incertezza del nostro campionato non aiuta…» 

La Redazione

 

 

 

 

 

 

 

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