C’è voluta la Juventus per rielaborare un pensiero, per ribadire una verità assoluta, per accorgersi ancora una volta che il Napoli sa essere Grande con le Grandi, le sfida guardandole negli occhi, mostrando la sua esuberanza tecnica, palleggiando o anche – come stavolta – lasciando che lo facessero gli avversari, però avendo consapevolezza delle proprie scelte e delle strategie da attuare per esserne degni. È il campo che l’ha detto ancora, domenica, nel turbinio di una metamorfosi che ha espresso una specie di testamento: affinché il Napoli si tolga la maschera e reciti un copione che gli appartiene, ci vuole l’atmosfera, il clima da galà, quell’attrazione fatale con le tenebre che l’hanno spinto a risorgere già con il Liverpool e poi ad Anfield, all’andata a Torino e all’Olimpico con la Lazio, con l’Atalanta e pure in coppa Italia. In questo disagiato semestre, in cui ognuno s’è negato nulla, il Napoli ha vissuto ai margini di se stesso, s’è disintegrato dentro, ha subito un black-out cerebrale, s’è scomposto, ha dissacrato la propria inattaccabile genialità, ma ha scovato la sua natura nelle partite vere, quelle che rappresentano una dimensione sincera e non artificiosa di chi è stata vicina allo scudetto o s’è docilmente accomodata sistematicamente in Champions.
È il suo status dell’anima che l’ha sorretta per uscire dalla miseria in cui è vissuta e le ha ricostruito una nobiltà tecnica di cui può ancora impadronirsi. Fonte: CdS