Oggi come allora – Stefano Iaconis: “Bambini nel tempo”

Mi ricordo quando passava il bus della Juventus. Lo preannunciavano le sirene urlanti della polizia stradale, un suono lacerante, improvviso, che arrivava dal nulla, materializzandosi nell’aria della Domenica più attesa del nostro anno calcistico. Bucava, quel suono, le nostre grida di ragazzini che, su uno spiazzo di cemento impolverato, circondato da auto, inseguivamo eternamente un pallone. Forava la nostra felicità della quale eravamo depositari senza averne coscienza, fermando per un istante il tempo. Noi restavamo sospesi, ogni cosa pareva galleggiare nell’aria per quel momento necessario a renderci conto di ciò che accadeva. Sapevamo da subito chi stava arrivando, dietro quel suono che era per noi come la tromba di un reparto di cavalleria che invita alla carica. Il pallone, prima coccolato, inseguito, venerato, in modo compunto e riverente, ora saltellava solitario lungo scalini troppo lontani per essere raggiunti, abbandonato al suo destino fino a terminare la sua corsa triste sotto le ruote di un’altra auto in sosta, chissà dove. Mi ricordo come fosse adesso e non quaranta anni fa. I nostri volti, rivolti verso il cielo, quasi a fiutare l’aria come avrebbe fatto un branco di predatori in caccia, i nostri corpi che, all’unisono, si tendevano verso la direzione di quel suono, le nostre gambe a mulinare l’aria velocemente, per essere i primi ad assistere al rito. Mi ricordo quando il bus arrivava. Passava veloce, velocissimo, il soffio di Eolo che agitava le acque del nostro furore, un istante nel quale ciascuno di quei ragazzini, sudati, ansanti, le gote imporporate dal rossore dello sforzo, assiepati in fila indiana lungo il bordo della strada, sceglieva l’immagine da custodire fino alla prossima volta. Passavano dietro a vetri schermati, altri volti, conosciuti assai bene. Immediatamente associati a nomi che ci facevano fremere di rabbia sportiva. Gli dedicavamo un gesto osceno, un lazzo, roteavamo gli occhi in una parodia di minaccia, qualcosa che potesse ricordare loro poi, da lì’ a qualche ora, dentro il nostro stadio, quanto tremendo “odio” sportivo, nutrissimo per loro. Qualcosa che potessero conservare, tremando al ricordo, loro, gli invincibili bianconeri, detestati, sollevando lo sguardo sulle tribune allagate nell’azzurro. Passava, il bus, con sulle fiancate quei colori che conoscevamo assai bene. Colori che per noi, rappresentavano Domeniche di furore sportivo trascorso alla loro merce’. Alla merce’ di una antica rivalità. Perpetuata nel tempo. Impossibile da spiegare. Noi, piccoli tifosi che inseguivamo il sogno, quello che domani sera, una intera città, sospesa nel tempo, per 90 minuti, custodirà nel palpito della sua passione eterna. Di sconfiggerli, per poterli vedere passare sotto le forche caudine del nostro dileggio. Domani, nell’ora in cui il carro dell’Orsa percorre veloce il cielo, noi saremo lì, dentro le nostre fantasie di adulti innamorati, lungo quel marciapiede, e loro, i bianconeri, sfrecceranno ancora sotto i nostri occhi terribilmente astiosi, come allora. Come sempre sara’. Finchè morte non ci separi.

a cura di Stefano Iaconis

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