Ciccio Marolda, dalle pagine del CdS, commenta il momento azzurro. Quello di una squadra che, da molto ormai, a smesso di essere tale per essere solo tanti uno e nessun noi:
“C’è chi colleziona francobolli e chi penne stilografiche. Chi monete e chi fumetti. Il Napoli da poco ha cominciato con le bambole. Ancelotti pur affermando il contrario ne ha pettinate tante, anche se prima d’andar via non ha avuto il tempo di spiegare quale fosse la sua preferita: Camilla o Bebi Mia? Mah. Il dubbio resta, anche se chignon e carrè alla Louise Brooks restano comunque poca cosa rispetto agli altri riccioluti e scompigliati dubbi che don Carlo s’è lasciato alle spalle quando, rimesse in valigia spazzole e bigodini, è salito sul primo aereo utile per il Regno Unito e se n’è andato.
Ora c’è don Gennarino, il quale prima ancora di capire che razza di squadra abbia veramente per le mani, pure lui ha pubblicamente dichiarato che il proprio futuro lo vede più da coach che da hair stylist. Ovvero, che lui – ripetendo pari pari le parole del suo predecessore – non s’è trasferito qui per lisciare Barbie o Tenerona, bensì per raddrizzare la schiena a un manipolo di giovanotti che una volta s’atteggiavano a Big Jim e che ora sembrano invece tanti Calimero. Ci sta riuscendo? Beh, a giudicare dai risultati e da quello che si vede, proprio no. Con Iachini, la Fiorentina è cambiata da così a così. Il Napoli, invece, è sempre quello. Ma perché fatica così tanto a ritrovare l’armonia di qualche tempo fa? Forse perché prima del gioco, della velocità, del rispetto delle posizioni in campo, il Napoli deve ritrovare quello spirito di gruppo che è alla base della forza e dei successi d’ogni squadra. Invece, da troppo tempo a questa parte, quello spirito il Napoli l’ha perso. Colpa dei fragili rapporti con l’allenatore precedente, e di quelli ancora non consolidati con il nuovo, certo, ma anche di una campagna acquisti estiva scombinata, di rinnovi di contratti troppo a lungo congelati, di addii annunciati, di una ruvida comunicazione, di diffusi malumori e di rivolte e multe, oltre che di tanti errori pure in campo, è ovvio. Colpa, insomma, d’un ambiente depresso, avvelenato e ancora a pezzi. Ecco, tutto questo, un po’ alla volta e tra la colpevole cecità di chi avrebbe dovuto cogliere gli allarmi e non li ha colti, ha portato il Napoli a cedere agli individualismi: ognuno per sé e tanti saluti a tutto il resto. Così si spiega, forse, questa classifica infame, specchio fedele degli orrori in campo e fuori. “Un calciatore esiste solo grazie all’altro”, scrisse una volta Jorge Valdano, ma nel Napoli probabilmente si legge poco o niente.”