Accame: “Un conto è saper fare uno stop o un lancio, un altro è insegnarlo”

Il professore Accame, dunque, non dovrebbe essersi sorpreso per la difesa che Gattuso ha fatto di Ospina dopo l’errore del portiere che ha favorito la vittoria della Lazio? «Assolutamente no. La predisposizione a non scaricare sugli altri è correlata a una grande umiltà di base e peraltro questa è una delle prime indicazioni che do agli allenatori durante il corso: tengano sempre presente che hanno scelto loro chi va in campo e quindi è loro la responsabilità di quanto accade. Come per il regista di un film. E vero che gli staff si sono allargati sul piano gestionale e decisionale, ma l’ultima parola spetta sempre al tecnico». Che comincia a Coverciano ad imparare come affrontare stagioni di sofferenza. 

«Gattuso è la persona più adatta per le crisi perché ponderato e umile e questi sono veri valori, contrari alla presupponenza che un allenatore spesso ha. Sono tanti quelli che mettono la propria carriera davanti a tutto e in questo senso orientano perfino le loro scelte. Gattuso non è così: pensa concretamente alla squadra e non a se stesso. Si viene giudicati per i risultati, certo, ma questi arrivano se in campo vi sono una logica e una convinzione collettiva».

In trent’anni quanto sono migliorati gli allenatori italiani?

«Notevolmente dal punto di vista delle competenze tecniche perché anni fa questo lavoro poteva farlo chiunque dal momento che si procedeva in maniera empirica, alla buona, e un allenatore era il padrone del processo formativo, occupandosi di tutti gli aspetti, anche della preparazione atletica. Adesso in una squadra di serie A c’è uno staff composto almeno da dodici persone e il processo è funzionale. Sono cambiate le logiche perché sono cambiati i tempi: interessi e investimenti impongono analisi più raffinate. L’aspetto ancora critico è quello didattico».

In che senso?

«Nella prima lezione del corso punto su questo aspetto: un conto è saper fare uno stop del pallone o un lancio, un altro è insegnarlo. È in base all’evoluzione motoria di undici uomini, anzi venticinque, che si muovono secondo un’economia complessiva, che si giudica l’allenatore. La vittoria o la sconfitta è un aspetto successivo. E peraltro in uno spogliatoio vi sono uomini dalla lingua diversa, con aspettative differenti e spesso contrastanti. Parlare a più persone e riuscire a coordinarle è la prima lezione. Parlare ai mass media è la seconda, perché gli aspetti prossemici dal linguaggio agli sguardi, dagli spazi alle distanze incidono nella percezione sociale di un personaggio pubblico». Fonte: Il Mattino

 

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