Carlo Ancelotti s’accomoda nell’«aula magna» di Castel Volturno e in platea entra lo staff al completo, tranne suo figlio Davide, il sospetto d’essere in vista del d-day diviene avvolgente. «Vivo questa vigilia serenamente, sapendo di dover prendere una decisione: ed è quella di scegliere la formazione giusta». Non c’è ancora nell’aria, o non si percepisce con la certezza che esploderà verso sera, la sagoma di Rino Gattuso, ma ci sono frasi che hanno un valore, perché nulla di dice per caso. «Non basterà la qualificazione a cancellare tutto e andrà valutato quello di buono fatto in Champions ma anche i problemi emersi in campionato».
LA SERATA
E’ quando ormai tutto è finito e s’è consumato un pomeriggio in cui Ancelotti offre l’ennesima dimostrazione della propria statura – anche dialettica, comunicativa – che le parole tornano come un’eco. «La valigia sul letto, quella d’un lungo viaggio, come cantava Julio Iglesias, per un allenatore è sempre pronta. Essere in discussione per questa situazione è assolutamente normale, non sono spaventato o preoccupato se la società mi manda via oppure se io decido di andare via. E se si verificano certe condizioni sarà giusto andare avanti, altrimenti sarà giusto chiudere».
RESISTERE
C’è una certezza, resistere, che non vacilla, nonostante tutto, perché non c’è l’intenzione di dimettersi, di andarsene così, da insalutato ospite; e poi ci sono le interpretazioni successive a questi 26 minuti e 44 secondi da interlocutore sereno, onesto intellettualmente, persino ironico ma soprattutto severe con una squadra nella quale stasera non dovrebbe esserci posto per Insigne e forse per Mertens, che resta in ballottaggio con Milik: «Io voglio trovare la soluzione per uscire da questo periodo che finirà ma non possiamo tirare troppo per le lunghe. E già durato troppo». Però, tante cose vanno chiarite, nell’orgoglio di un uomo che sa come responsabilizzare un gruppo ch’è sembrato vuoto: «Non vorrei che i calciatori giocassero per me, potrebbe essere uno dei motivi per il quale poi mi verrebbero i dubbi». E Ancelotti non ne vuole più, gli bastano quelli che ha avvertito da sabato sera, quando ha avuto la percezione che Gattuso fosse stato seriamente contattato, o come quello di dover rimpiangere di questi diciassette mesi napoletano un solo episodio, che ora eviterebbe: «Uno solo ma non vi dico quale. E comunque se non pensassi di essere la persona giusta per risolvere questi problemi io non sarei qui adesso».
La Redazione
COSA FARA’
Aspetterà che qualcosa succeda, ormai è piena l’atmosfera e volete che non abbia intuito o capito o addirittura saputo che De Laurentiis chiamerà, a prescindere e che domattina o semmai stanotte dovranno vedersi, perché il presidente sarà al san Paolo, non può non esserci in un appuntamento del genere. «Momento difficile, dal quale si può uscire: ma da qui a dire che io possa andarmene ce ne vuole». E quello apparterrà alle incognite del futuro, a come finirà questo Napoli-Genk trasformato in orpello, perché quando ondeggia paurosamente un «mito della panchina» tutto finisce per divenire secondario. «Io mi auguro di passare il turno».
ARSENAL E IBRA
Gli ottavi da afferrare, semmai anche da primo, se possibile, e poi si metterà ad ascoltare: esonero, transazione con riconoscimento da garantire allo staff, un ventaglio di ipotesi che rimane lì, come quella voce che arriva dall’Inghilterra e ribadisce che l’Arsenal non aspetti che lui, per aprire un nuovo ciclo. Mentre Ibra, no, Ibra sta a Los Angeles, «Ci siamo sentiti ieri sera. Mi ha detto che c’è un bel clima». Non sarà lo stesso di Napoli: è un uomo di mondo (del calcio) lo sa.