«In campo ci vanno i calciatori» ha raccontato domenica scorsa, dopo la sconfitta con il Bologna, che in realtà c’erano ma non si erano visti, non in quell’ora e mezza o solo in una frazione di quella partita, l’ennesima, finita male: eppure era stato 4-3-3, proprio come avevano invocato nel corso del faccia a faccia di Castel Volturno, accontentati da Ancelotti, secondo il CdS, che aveva scelto di rivedere le proprie convinzioni, per tentare di uscire da quel cono d’ombra nel quale era piombato il Napoli – i calciatori, s’intende – mica perché «s’allenavano male». Non era volata una mosca, dinnanzi al richiamo alle responsabilità di Ancelotti: «Ora si fa come dico io», però quella interpretazione sugli allenamenti era volata via, tra le pareti di Castel Volturno, segnale di una distanza tra qualche uomo e le teorie del proprio allenatore. D’altro canto, la tribuna di Insigne a Genk ne è stata testimonianza, e anche l’atterraggio di Raiola a Castel Volturno, a sei mesi dal caffé in casa Ancelotti tra lo scugnizzo, Adl e Giuntoli. E le conferme di Insigne: «C’è stata qualche frizione». Prima che però a Salisburgo corresse ad abbracciarlo, dopo il gol del 3-2.
La Redazione