Quello che non t’aspetti, ma che speri. La risposta attenta ed orgogliosa d’una squadra in difficoltà che su uno dei campi più difficili del mondo rialza la testa e chiede scusa a modo suo: riconoscendosi un’altra volta squadra e gruppo che la fece, sì, grossa quella notte dopo il Salisburgo, ma che ora qualche argomento da portare all’incontro con la proprietà ce l’ha di nuovo. E l’argomento è serio, visto che il Napoli a casa ci torna con la qualificazione agli ottavi della Champions quasi fatta. Non più da ribelli a sottomessi e basta, insomma. E quel passo indietro che farà potrà essere interpretato come segno di saggezza ritrovata. Già, ma allora perché è successo tutto quello che è successo? Non si capisce. Evidentemente non era la nobile difesa d’un diritto e neppure d’un principio quel “no” a due o tre notti da prigionieri serviti e riveriti nelle comode stanze d’un hotel di lusso. E allora che cos’era? Malumori andati a fuoco all’improvviso? La rabbia di pochi trasferita a tutti? Qualcuno dovrà pur spiegarlo, altrimenti chiunque avrebbe il diritto di pensare che Masaniello è morto solo perché don Aurelio l’ha colpito duro negli affetti. In quel punto vitale che si chiama portafoglio, insomma.
Ma pensare che tutto possa finire in un “chi ha avuto, ha avuto, ha avuto” e “chi ha dato, ha dato, ha dato, scurdammoce ‘o ppassato”, che, nonostante la determinante notte inglese, un incontro ravvicinato squadra-proprietà possa cancellare tutto è pia illusione. Intendiamoci, ritrovarsi è necessario in nome d’una stagione con ancora tanti ed importanti obiettivi da centrare, ma è chiaro che dal quel maledetto cinque di novembre in casa Napoli nulla è e nulla sarà com’era prima. Quello sciagurato “no” al ritiro, infatti, ha segnato la linea di confine tra il presente ed il futuro. Eccolo, allora, il doppio binario sul quale si muoverà il Napoli nei prossimi sei mesi: gli irrinunciabili obiettivi sportivi da una parte e, dall’altra l’avvio d’un nuovo ciclo con molte teste e molti piedi nuovi. Insomma: salviamo quello che c’è da salvare e ricominciamo dopo un po’ di addii anche naturali, se si vuole. Perché, ad esempio, a fine stagione Mertens e Callejon avranno trentadue anni già suonati, mentre Allan, Koulibaly e Insigne, giusto per fare altri tre nomi, saranno già sulla via dei trenta. Ed è logico, al di là di tutto – ribellioni e arruffapopoli compresi – che un’azienda che produce calcio pensi a ringiovanirsi, senza ovviamente rinunciare ad investire per migliorarsi pure.