Ezequiel Lavezzi o meglio il Pocho ha detto adios al calcio a 34 anni ieri a Langfang, Nord della Cina, ma il fatto è che il calcio non può dire addio a lui: il Pocho sarà per sempre. Indimenticabile per il Napoli e per Napoli, città che l’ha amato alla follia dal primo scatto inconfondibile, caracollante fino a chiedersi come potesse restare in piedi, all’ultima scena: le lacrime dell’Olimpico dopo la conquista della Coppa Italia battendo la Juve, alla vigilia del trasferimento al Psg. Era il 20 maggio 2012: e dopo sette anni, da queste parti, si parla ancora di lui con gli occhi pieni e il cuore che batte.
Era impossibile non volergli bene: in campo spaccava le partite a velocità supersonica, regalava assist a gogò e ogni tanto segnava – 48 gol in 188 presenze -, e fuori invece univa. Generoso come pochi, brillante, simpatico, scugnizzo. La noche napoletana gli piaceva, altroché, ma a 22 anni, e con quel dribbling, gli si perdonava tutto. Che forza, il Pocho. Un grande che ha raccolto meno di quanto avrebbe potuto: il Clausura 2007 con il San Lorenzo, la squadra di Papa Francesco; la Coppa Italia con il Napoli; 3 campionati francesi e varie coppe con il Psg; l’argento al Mondiale 2014 con l’Argentina, dopo l’oro olimpico a Pechino 2008. Poi la Cina, l’Hebei: dal 2016, con un biennale da circa 21 milioni di euro a stagione dopo l’esperienza parigina (fu il primo a usufruire delle famigerate clausole rescissorie di De Laurentiis: 31 milioni). Il meglio, però, l’ha dato in azzurro con Hamsik e Cavani nelle notti di Champions: i mitici Tre Tenori. fonte: CdS