Nicola De Ianni: “De Laurentiis è un accentratore, ma non è il solo patriarca”

«De Laurentiis patriarcale ma è il calcio a seguire modelli economici sbagliati»

«Non è patriarcale il modello Napoli, ma quello del calcio italiano. E, più in generale, è tutto il settore a livello internazionale ai margini dell’economia: sposta milioni però è lontano dall’innovazione». Il professore Nicola De Ianni, già docente di storia economica presso la Federico II e autore di un libro su nascita e trasformazioni del calcio italiano, ha studiato bene il Napoli di De Laurentiis, che fu suo ospite con l’ex presidente Ferlaino a un convegno su problemi e prospettive di questo mondo quattro anni fa presso la facoltà a Monte Sant’Angelo.

L’attuale crisi nel rapporto tra la società e la squadra pone interrogativi sulla gestione del club da parte di De Laurentiis: l’assenza di collaboratori autorevoli sembra avere in parte determinato il caos scoppiato due settimane fa, dopo la partita con il Salisburgo. «De Laurentiis ha un’impostazione padronale: è un accentratore che ha trasferito nel Calcio Napoli l’organizzazione della Filmauro e infatti in entrambe aziende l’altra figura chiave è il manager Chiavelli. L’unico dirigente che veniva dal settore industriale è stato Fassone, che peraltro fece poco nella breve permanenza a Napoli. Ma questo aspetto riguarda altri club italiani, anche quelli che sembrano più strutturati come la Juventus: dove c’è una figura, quella di Agnelli, che accentra i poteri ed è arrivato ai ferri corti con un manager come Marotta, quando egli ha espresso pareri contrari sulla gestione. Si può fare un esempio anche con l’ultimo imprenditore apparso sulla scena calcistica italiana, l’italo-americano Joe Commisso, che non potendo seguire la Fiorentina ha delegato il suo braccio destro Joe Barone. Come si vede, non è solo il Napoli ad avere una struttura centralizzata».
Perché ritiene che il calcio sia lontano dai nuovi modelli economici? Per la sua organizzazione verticistica? «Tra gli anni 90 e il Duemila tante società si sono quotate in Borsa, in particolare in Premier League, dove adesso invece ne è rimasta una, il Manchester City, peraltro non quotato su un mercato europeo. Le società presenti in Borsa sono attualmente 24 e poche appartengono a tornei di prestigio. Il limite del calcio? Dovrebbe patrimonializzare. È vero che la Juve ha costruito un proprio stadio, ma questa fonte di guadagno è cancellata da debiti notevoli. Una corretta gestione economica sarebbe basata su utili e creazione di strutture, commisurate a possibilità di raccolta. Questo settore resta particolare perché c’è un elemento emotivo, rappresentato dai risultati, che non ha riscontri in altre industrie».
Uno dei temi affrontati nel suo libro è stato il predominio del Nord in serie A: la dittatura della Juve si è riproposta anche recentemente e alle sue spalle c’è l’Inter, dunque non vi sarà più spazio per nessun altro club? «È un fattore tecnico, anche se da un punto di vista economico la Juve ha effettuato terrificanti aumenti di capitale, con debiti su debiti: può permettersi di farlo perché alle spalle c’è Exor».
Ritiene possibile l’arrivo di un socio nel Napoli? «Non credo che sia questo l’interesse di De Laurentiis, che potrebbe eventualmente vendere la società in presenza di una forte offerta se ritenesse concluso il suo percorso. È importante che il presidente non corra rischi».
Indossando i panni di presidente della Eca, l’associazione dei club europei, pochi giorni fa Agnelli ha paventato il rischio recessione per il calcio europeo. «Non vedo proprio questa possibilità perché il calcio vive in una situazione drogata, a cominciare dalle fittizie plusvalenze: il discorso vale per le leghe più importanti, dall’Inghilterra all’Italia. Il calcio è un mondo artefatto: è come se vivesse in una bolla e per questo segue particolari regole, distanti da principi economici».

Fonte:  Il Mattino

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