Il Mattino – «Leader non si diventa: si nasce». Tra gli azzurri non ce ne sono

Forse per questo c’è chi spinge per l’ingaggio di un leader come Ibrahimovic, capace in poche ore per carattere e tutto il resto di prendere in pugno tutti. La prima grave perdita è stata quella di Pepe Reina, ovvio molto condizionata anche dalle relazioni pericolose fuori dal campo accertate dell’inchiesta della Dia. Ma lì, nello spogliatoio, finché c’era lui era il capo incontrastato. E non solo del gruppo degli spagnoli. In campo e fuori è stato a lungo il punto di riferimento per tutto e tutti: pronto a mostrare il petto sia nelle questioni societarie sia quando c’era da fare discussioni in campo. Non a caso aveva un nomignolo che era la sintesi perfetta: «il sindacalista». Si diceva che Pepe fosse un portiere che parava col carisma più che con le mani. Quando il carisma si offuscava e qualche avversario lo insultava facendogli gol, Pepe si arrabbiava come un ragazzino nelle partitelle per strada. Quando il Napoli vinceva, saltava e ballava come il più impazzito dei tifosi. «Era già pronto a fare l’allenatore quando era al Bayern», confessò Pep Guardiola. «Un uomo vero ed un leader vero, ci mancherai», lo salutò Marek Hamsik l’estate scorsa. Lui, Marekiaro sarebbe andato via pochi mesi dopo. Altro pezzo del muro umano. Lui capitano vero, magari non capopopolo come Reina. Il suo attaccamento al Napoli si è sempre espresso attraverso il calcio, la sua leadership si è manifestata nei no alle offerte recapitate dal Milan e dalla Juventus. Lo slovacco sapeva come e quando parlare, aveva un’intelligenza vivace, era il punto di contatto e il tramite tra il gruppo storico e i nuovi. Anche quando Sarri gli disse che avrebbe giocato spesso non più di un’ora, lui non si è mai lagnato delle sostituzioni. Anche per rispetto al calciatore che entrava, di volta in volta, al suo posto. fonte: Il Mattino

CalcioleaderNapoli
Comments (0)
Add Comment