Da un ex capitano, Taglialatela, al capitano di oggi, Insigne. Pino risponde ai microfoni de Il Mattino
Dura la vita per i napoletani che portano la fascia al braccio?
«Durissima. Ma in fondo è soltanto il troppo affetto che rischia di schiacciarti».
Beh, fino a un certo punto. Con Lorenzo il tifoso non è mai stato troppo tenero. E viceversa.
«Perché la gente pretende qualcosa in più. Ragiona in questo modo: se sei napoletano e sai quanto siamo attaccati alla maglia, devi dare il doppio degli altri».
Per le cose di campo può funzionare così. L’ammutinamento però è una ferita che lascia il segno.
«Brutta storia, se ne doveva fare a meno. Ma c’è sempre tempo e modo per rimediare».
Se Taglialatela fosse stato negli spogliatoi, cosa avrebbe fatto?
«Avrei contato fino a dieci. A mente calda, subito dopo la partita, ci possono stare reazioni sopra le righe perché l’adrenalina inizia a scomparire soltanto dopo la doccia. È la gestione dei momenti successivi che è stata totalmente sbagliata».
I tifosi si sono schierati contro Insigne e la squadra, difendendo in pratica il comportamento della società.
«Adesso si ha l’impressione che Lorenzo sia il responsabile di tutto».
È rimasto con il cerino acceso in mano?
«Proprio così. È solo e questo non l’aiuta a uscire bene dalla situazione. Qualche compagno ha chiesto scusa in allenamento, qualcun altro avrebbe fatto lo stesso inviando messaggi, lui niente perché in teoria da capitano deve portare avanti la strategia del gruppo, in pratica la sensazione è che non sappia cosa fare».
La solitudine accompagna spesso i capi rivoluzionari.
«Non è giusto. Ci sono tre componenti che formano una squadra: società, allenatore e giocatori. Quando è scoppiato il caos, ognuno ha preso una strada differente. Poi si sono aggiunti il quarto fattore e la quarta strada: il tifo. Ragazzi miei, così non si va da nessuna parte».
Resta il gesto forte di un manipolo di pseudo-leader che ha causato lo strappo.
«Calciatori con poca personalità e zero esperienza. E quel che è peggio, senza adeguati interlocutori. Da una parte c’è stato l’autogol della squadra, dall’altra la totale assenza di dirigenti di spessore in grado di ricomporre la frattura, o quanto meno capaci di gestirla in maniera più diplomatica».
Come si esce da questo caos?
«Mi aspettavo che uno o due giorni dopo qualcuno avrebbe fatto un passo indietro. Perché prima o poi lo dovranno fare tutti. Toccava innanzitutto ai giocatori».
Quindi al capitano?
«Senza alcun dubbio perché questo è il suo ruolo, esporsi nella buona e nella cattiva sorte. Per quel poco che conosco Insigne, lo immagino come un ragazzo fondamentalmente buono e generoso, un tipo semplice e genuino. E forse il giorno dopo era già pentito, non capisco perché da parte sua e della squadra non sia partito alcun gesto di scuse».
Come faceste voi nell’88?
«Ci fu il primo comunicato contro Bianchi, poi si fece marcia indietro e chiedemmo scusa. I nostri leader avevano grande intelligenza ed esperienza, si chiamavano Maradona, Bagni, Bruscolotti. E discutevano contro Ferlaino e Moggi. Il problema di oggi non è che al club manchi intelligenza, semplicemente non sono previste figure dirigenziali preposte, e se qualcuno esiste è svuotato di qualsiasi potere decisionale».
Ancelotti poteva fare di più?
«Doveva. È l’unico che può metterci una pezza con garbo».
Stasera il San Paolo fischierà Insigne?
«Di sicuro non lo applaudirà, almeno all’inizio: Lorenzo lo immagina perfettamente. Lui e la squadra devono fare due cose: giocar bene e vincere. E poi chiedere scusa: i napoletani apprezzano chi sa comunicare umilmente». Fonte: Il Mattino