E don Carlo? Beh, lui rispetto agli altri due pur rispettabilissimi colleghi ha un gran vantaggio: lui non è il passato, lui è il presente. Cosa che non permette a nessuno, manco per scherzo, di sistemarlo già sulla poltrona di destra o di sinistra. E non perché l’unico allenatore al mondo che a bordo campo possa sedersi non su una panchina ma su una poltrona tipo trono sia Diego Maradona, ma perché lui, don Carlo, s’è piazzato al centro, a metà tra rivoluzionarie certezze in campionato e reazionari dubbi in Champions. “Diviso com’è”, o diviso com’è stato sino a domenica a Ferrara? Sì, perché l’impressione è che da ieri sera contro l’Atalanta (prescindendo dalle frittate fatte prima da Meret e Koulibaly e poi anche da Giacomelli e gli amici suoi) don Carlo abbia finalmente deciso da che parte stare. Da quella del “bene” o da quella del “male”, come diceva il Professore? Ebbene lui contro l’Atalanta s’è schierato dalla parte del bene, del dubbio, del modello Champions. Che poi è quella d’un calcio più moderato, più borghese, se si vuole, ma più vicino alle caratteristiche dei giovanotti che governa. Fatto occasionale? Decisione provvisoria e contingente o, finalmente, decisione ragionata e necessaria? Questo si vedrà, ma per come è andata, soprattutto per lo spessore della prestazione della squadra, è stato evidente l’abbandono di quel maledetto modernismo che ne ha procurati e come di danni tra fantasmagorici turnover e fantasiose assegnazioni di ruoli sconosciuti. Avanti così, allora? E’ augurabile. Con un rammarico, però: aver aspettato dieci partite per capire da che parte stare.