Il codice degli ultras per non passare da “infami”

È in un coro, che gli ultras cantano ogni domenica dai polverosi spalti di Prima Categoria fino ai «templi»di serie A a unire il tifo organizzato di tutt’Italia a esprimere il manifesto della «mentalità». «Ultras in cerca di guai: è un ideale che non morirà mai; ultras in mezzo a una via senza la scorta della polizia…. e non ci fermeranno mai la paytv e la repressione…». È il manifesto di o sistema delle curve, quello in cui «la polizia» non serve, perché gli ultras, al di là dei colori, hanno un credo comune e regole proprie che vietano qualsiasi contatto con le forze dell’ordine (niente incontri, solo scontri, cantano) e che impongono omertà anche quando a morire di tifo è un «fratello», uno insomma che sostiene la tua stessa squadra. Fu così per le indagini per la morte di Ciro Esposito, ucciso a Tor di Quinto prima della finale di Coppa Italia 2014. L’assassino, prima di finire in mano alla Digos, cadde nelle grinfie degli ultras del Napoli che lo pestarono al punto che ha perso l’uso di una gamba. Trattative pre partita e post mortem, furono gestite direttamente dall’allora capo ultrà più potente della curva A. Genny a carogna. Nessun contatto con lo Stato, dunque, il «codice» parla chiaro. Guai a contravvenire; si rischia di passare per «infami»: sono le parole intercettate nel corso dell’indagine per la morte di Daniele Belardinelli, tifoso varesino investito nei tafferugli di Milano prima della partita Inter-Napoli, disputata a Santo Stefano dell’anno scorso. Da ieri ne risponde il napoletano Fabio Manduca. Fonte: Il Mattino

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