ESCLUSIVA E FOTO – Rosario Lo Bello e la sua “centesima”: “Quel Napoli-Verona? Maradona riservò per quella gara il gol più bello della sua vita”

Passano gli anni, ma il ricordo di certe gare resterà sempre indelebile, non solo nella mente dei protagonisti.  Rosario Lo Bello, arbitro nazionale ed internazionale, ci parla di quel Napoli-Verona  che ha segnato le sue cento partite dirette. E se la gara di domani, si fosse giocata domenica, sarebbero stati esattamente 34 anni, da quel 20 ottobre 1985. Il ricordo nelle parole del famoso arbitro.

Napoli-Verona, la sua centesima partita, un traguardo importante. Che ricordi ha di quella gara?

Come diceva Dante Alighieri, “Nel mezzo del cammin…”, visto che le partite sono state quasi 200, possiamo dire che è stata una gara che ha segnato metà percorso, il centenario, il raggiungimento, tanto per usare termini moderni, di “Quota 100”. E’ stato un traguardo importante sicuramente, ma come la prima partita, o come la decima. Questo comunque per me non è stato un punto d’arrivo, anche perché non sai mai cosa c’è dall’altra parte, e se continuerai, augurandoti di poterlo fare”

 

Maradona, protagonista di quella partita, la rispettava tanto. C’è qualcosa di quel giorno che riguarda El Pibe, che può raccontarci?

“Come si fa a non ricordarlo. Maradona ha riservato per quella gara uno dei gol più belli della sua vita, quello da metà campo al povero Giuliani, che poi ironia della sorte, sarebbe diventato suo compagno di squadra. Non potrei non ricordare una delle perle più pregiate, che Maradona ha riservato alla sua platea, ed in quel momento della platea facevo parte anch’io, forse solo un po’ più vicino degli altri”.

 

E’ una gara che da sempre accende gli animi,  purtroppo con cori razzisti, tema ancora troppo attuale, e per cui ancora poco è stato fatto.

“Io direi che la risposta migliore l’hanno data i napoletani, con quella frase che rimarrà storica, quel famoso striscione a Verona. La verve, l’umorismo napoletano serve a sdrammatizzare ogni cosa, ed  in questo caso, soprattutto a scoraggiare i beceri e gli ignoranti. La risposta più bella è una risata, perché gli stadi dovrebbero essere frequentati da gente che la domenica vuole andarsi a divertire, a vedere, come ricordavamo prima, una bella giocata. Ed invece più di qualche volta chi ci va ha dei seri problemi, che sfoga nella maniera più stupida”.

 

Perché non si fa nulla per arginare questo problema?

“Non lo so. Diciamo che la cosa dovrebbe essere semplice, con dei provvedimenti da adottare. D’altra parte fa parte della decadenza dei tempi e degli esseri umani, se così si possono definire queste persone”

 

Domani sarà di nuovo Verona-Napoli,  dirige la gara Piccinini di Forlì.

“E’ uno dei quei ragazzi giovani, non lo conosco. Io non frequento più le “parrocchie” dell’AIA”

 

Una carriera molto importante la sua, possiamo  sperare di vederla un giorno ai vertici dell’AIA?

Non se ne parla proprio di quest’AIA. Con tutto il rispetto per le opinioni, per le persone, Dio mi tenga lontano. Non abbiamo argomenti comuni, idee comuni, né ideali comuni. Ne sono uscito ormai dal 2007 senza rimpianti, solo con dei bei ricordi, che ho preferito tenere con me, come le giornate, le partite, le persone, i dirigenti e i giocatori di grande classe. Tutto il resto fa parte di esperienze passate, che non rinnego, e non rimpiango. E’ stata una cavalcata indimenticabile, attraverso sentieri verdi, un periodo in cui c’erano grandi calciatori, ma soprattutto grandi uomini, e mi riferisco anche ai dirigenti. Adesso non conosco questo nuovo mondo, che guardo ogni tanto con poco interesse. Ad una partita che non desta nessun interesse preferisco un buon libro. I campioni di allora erano così significativi che mi hanno riempito gli occhi ed anche il cuore, senza retorica, ma solo parlando di belle cose”.

 

E parlando di belle cose, e quindi di quel pallone con cui è stata giocato quel Napoli-Verona, che effetto le fa guardarlo?

“Mi ricorda un periodo felice della mia vita, in cui sono stato bene, e senza malinconie, perché i periodi d’oro non durano tutta la vita, ma lasciano un buon ricordo. Ancora qualche notte sogno che sto per arbitrare una partita, mi alzo con la piacevolezza di quel sogno, che però resta fine a sé stesso, una bella sensazione.  Ho ricevuto tanto, ed ho dato tanto, in termini di partecipazione,  professionalità, di tante cose. E posso dire, tracciando un bilancio della mia vita, senza voler essere immodesto, di essermelo meritato. All’epoca non si parlava ancora di arbitri professionisti e  credo sia stato il periodo migliore, perché come sostengo da sempre, l’arbitro deve rimanere sereno fin quando non sta per finire la carriera, essere libero di testa e di tasca. Di testa perché deve entrare in campo con la mente sgombra,  e come amavano ricordare i miei maestri, parenti esclusi, “ricordatevi che voi siete direttori di gara e direttori della terna e che le maglie sono tutte uguali, cambiano soltanto i colori. E chiunque le indossi è una persona, le partite iniziano tutte dallo 0-0”. E poi credo che gli arbitri devono conservare tutti il loro lavoro, perché ogni anno rifanno l’esame, che è quello del campo. Ecco a me piace essere libero e contare sui frutti del mio lavoro, perchè quella dell’arbitro, come quella dei calciatore, è una carriera che ogni anno deve essere riconfermata”.

 

Se potesse scegliere una sola gara di tutte quelle che ha diretto, quale sceglierebbe?

“Purtroppo so di dare un dolore ai napoletani, ma quando si pensa dal punto di vista sportivo, bisogna scindere le figure, quella sportiva dall’arbitro. Ed in questa veste di assoluta neutralità, posso dire che rifarei quel  Napoli-Milan, che molti definiscono la “partita della storia”, ma ovviamente parlo della cornice, della gente, dell’interesse, delle  90 tv collegate, perciò come potrei non ricordarla. Certo mi rendo conto che rimembrarla ai napoletani è un dolore, ma ricordo che due anni prima avevo diretto un altro Napoli-Milan, che aveva segnato il primo scudetto storico del Napoli. Quindi è bene che, come vorrei dire a qualche altra persona (Berlusconi n-d.r.),  a cui mando un messaggio subliminale, si ricordino sia le partite fortunate, che quelle meno fortunate. In fondo lo sport insegna proprio questo, che una sconfitta può insegnare più di dieci vittorie, ma bisogna  coglierne esattamente il significato”.

 

A cura di Emilia Verde

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