Mica si può far finta di niente: perché c’è un momento in cui la verità va inseguita entrandoci dentro, e tentando di afferrarla senza deroghe, né concessioni e Mino Raiola ha scelto di decodificare di persona, occhi negli occhi, catapultandosi a Castel Volturno. È così che si sostiene un (potenziale) campione, uscendo dagli equivoci e mirando dritto al problema, ch’esiste, lo raccontano quei dribbling perduti, quella vaghezza e poi persino la tribuna di Genk, catalogata da Ancelotti come una scelta tecnica «per averlo visto poco brillante» e nella quale c’è racchiuso tanto altro: c’è un anno di incomprensioni, di linguaggi incompatibili, di frizioni che Insigne non ha negato («ci capita di bisticciare, è una questione caratteriale») e che Raiola ha deciso di risolvere, scendendo in campo, atterrando a Capodichino, poi arrivando a Castel Volturno quando le tenebre l’avrebbero potuto aiutare e sfilando via verso le otto della sera. Un paio d’ore possono bastare e sa di diplomazia rifugiarsi in una «visita di cortesia» per i propri assistiti – Insigne e Manolas, aspettando Lozano – o in una chiacchierata amicale con Ancelotti e Giuntoli: sarebbe bastato chiamarsi sul cellulare, se non ci fosse stato altro a cui dedicarsi. Fonte: CdS