La fotografia di Ancelotti è fedele, quando dice: abbiamo fatto un partita sufficiente. Ma il Napoli può fare una partita sufficiente? La squadra che per anni ha conteso il titolo alla Juve, la squadra che, dopo una stagione di assestamento con il nuovo tecnico, sarebbe dovuta giungere a maturazione, la squadra con la dotazione di attaccanti più ricca del campionato, la squadra che nelle ultime tre partite ha rimediato una sconfitta con il Cagliari, una vittoria sofferta con il Brescia e un anonimo pari a Genk può fare una partita sufficiente, rischiando più del Torino che le era di fronte? Ancelotti si contenta di aver «sistemato la difesa», dopo i 7 gol rimediati nelle prime due giornate contro Fiorentina e Juve, e spera che prima o poi qualcosa adesso migliori davanti, senza spiegare come e perché. Ma, davanti, ieri il Napoli ha tirato nello specchio della porta granata solo tre volte, come non accadeva dall’agosto del 2018 contro la Lazio. E nel secondo tempo ha denunciato un calo di condizione che ha consentito al Torino di avanzare il baricentro, schiacciando spesso gli azzurri nella loro metà campo.
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Che questo non sia il Napoli che abbiamo conosciuto negli ultimi anni è un’evidenza che neanche la diplomazia di Ancelotti può nascondere, almeno senza sconfinare nell’ipocrisia. L’ampiezza della rosa e l’impiego di un maggior numero di calciatori da una parte, la scelta alternativa di più moduli tattici dall’altra non hanno dato i risultati sperati: se ieri avevamo una squadra che soffriva talvolta la fatica, ma giocava a memoria, oggi abbiamo una squadra ancora più in debito d’ossigeno e che sembra non ritrovarsi.
In modo ingeneroso, dopo la gara con il Cagliari, un opinionista televisivo disse di aver visto giocare il Napoli con l’intensità di un’amichevole a Dimaro, secondo il CdS, facendo irritare Ancelotti e Insigne. Sbagliava, poiché la verità è soprattutto un’altra: questo è un Napoli prevedibile, che corre e soffre di più perché sembra aver smarrito il suo copione. E forse anche il suo regista. La scialba prova di Zielinski di ieri mette a nudo una grave lacuna a centrocampo: dopo Jorginho, e senza più Hamsik, il Napoli non ha né il suo Pjanic né il suo Brozovic. Non lo è certamente il polacco, né lo sono il pur bravo Fabian Ruiz, il generoso ma strategicamente inconcludente Allan o il talentuoso ma acerbo Elmas. Sette attaccanti non fanno un uomo d’ordine, di cui si avverte ora tutto il bisogno. Chi ha guidato il mercato azzurro in estate forse ha sottovalutato la circostanza.
Sette giornate non fanno lo scudetto per la Juve in sorpasso, e neanche la condanna per chi, come il Napoli, è staccato di sei lunghezze. Ma bastano a raccontare carenze e incertezze, ad ogni livello, a cui è necessario che qualcuno metta riparo. Guai a sottovalutare un’indecente «sufficienza».
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