Questo è un mondo inquinato, terribilmente, ma ci sono storie che servono per liberarci dalle tossine: quella sera, a San Siro, a un certo punto, nella putrida atmosfera, si faceva fatica a respirare e Inter-Napoli finì per diventare un’oscena rappresentazione d’uno spicchio dell’umanità. E fu così, però, che a un certo punto Kalidou Koulibaly scelse di uscire dall’ombra, da quel buco nero verrebbe da dire, dove qualche centinaio di persone pensavano di poterlo confinare, e di ribellarsi al calcio, agli impostori, persino a un arbitro che non sentiva quei «buu» deprimenti, ceffoni violenti non in faccia ma nella coscienza di chiunque ne abbia una. E’ cominciata in quella notte la vera partita di Kalidou Koulibaly, che già all’Olimpico aveva dovuto sopportare lo scempio d’una curva: ma a San Siro no, e a Milano «la città più cosmopolita» poi. Si può restare travolti dai propri pensieri, che sarebbero anche quelli altrui, ascoltando ciò che un uomo sa dire sussurrando al vento e sperando che qualcosa voli via e attecchisca dentro ognuno di «loro»: e mentre Koulibaly cerca in se stesso, nella profondità dei propri pensieri, le parole più dolci ma anche più dure, t’accorgi che a volte siamo completamente immersi in un pallone che sa di guscio vuoto, denudati da questo mondo che va zigzagando verso il ciglio d’un burrone dal quale una mano però può tirarci fuori per trascinarci sul K2. Fonte: CdS