Nel 2018-19, secondo il Global Sports Salaries Survey, lo stipendio medio pagato da un club di Premier League è stato di circa 3,37 milioni di euro, contro i 2,48 percepiti nella Liga, nel frattempo orfana di Ronaldo. La Serie A? Se CR7 è un picco da 31 milioni di euro che fa storia a sé, la media è di 1,7 milioni l’anno: esattamente la metà rispetto all’Inghilterra. Almeno una società su tre in Premier può facilmente spingersi oltre soglie per noi inimmaginabili. Solo la Juve può competere ad armi pari, per capacità economica ed appeal: in 12 mesi ha piazzato i due colpi del secolo, CR7 e De Ligt, garantendo al primo lo stesso stipendio di Madrid, al secondo un’offerta alla pari con quelle degli altri top club europei, condendola però con la certezza di poter lottare da subito, e per sempre, per la Champions. E la Juve era stata la prima a infrangere il muro dei 7 milioni l’anno ingaggiando Higuain, con l’ovvia conseguenza di dover garantire le medesime condizioni a Dybala. Un effetto domino che spaventa gli altri club italiani: derogare al tetto salariale autoimposto vuol dire innescare una reazione a catena impossibile da controllare, una processione di agenti pronti a bussare per un aumento di stipendio. Se ci si fa prendere la mano, basta poco per far lievitare il monte ingaggi. Assai più complicato è invece rientrare in certi parametri.
In media in Serie A il costo del personale tesserato (fondamentalmente i calciatori, ma entrano nel calcolo anche tecnici e dirigenti) vale il 55% dei ricavi. Un altro 20% se ne va negli ammortamenti dei cartellini. Sostanzialmente, ogni 100 euro incassati i primi 75 se ne vanno per coprire la gestione del parco giocatori. Quel che resta, servirà a coprire tutte le altre spese e a finanziare la campagna acquisti.