Il cerchio si è chiuso perfettamente: fu il caos (di auto e persone) la prima volta ed è un caos (di ricordi e lacrime) l’ultima. Signore e signori, l’ultimo giorno napoletano di Raul Albiol: «Ci siamo, si parte sul serio. Incredibile». Ma vero. Un po’ come la prima scena che lui e Alicia, la splendida compagna di una vita splendida, con quattro figli e un coniglio di nome Flora, dono di Hamsik, raccontano dribblando i pacchi del trasloco sparpagliati ovunque, nella casa di Posillipo che bacia e abbraccia il Golfo e il Vesuvio. «Nel 2011, dopo il matrimonio, tra le tappe del viaggio di nozze inserimmo Capri: un giorno decidemmo di fare un giro a Napoli, un piccolo tour in taxi per conoscere un pochino la città, ma fu quasi traumatico. Un casino e un traffico pazzeschi, non eravamo abituati: e allora ci guardammo e ci dicemmo che non saremmo mai più tornati». Promessa solenne. «Si, l’impatto fu tremendo». Ma ancor di più il destino: perfido e poi generosissimo. «Due anni più tardi, dopo aver comunicato al Real la mia intenzione di andare via, leggo di Rafa al Napoli: ricordo che un brivido mi attraversò la schiena, pensando alla città». Raul racconta nel suo italiano screziato di castigliano e il sospetto da estranei che oltre a essere un gran difensore di calcio sia anche una bella persona e un ottimo amico, uno di quelli che ti fanno ridere e anche riflettere, che dicono la verità, diventa certezza. Sembra un attore, tipo Lello Arena con Troisi, mentre parla incrociando lo sguardo di sua moglie. «All’epoca io e Benitez avevamo lo stesso procuratore, e tra l’altro Rafa mi conosceva benissimo». Epilogo scontato: «Mi chiamano e mi dicono dell’offerta molto buona del Napoli. Un’offerta da accettare: e accettai. Ma non sapevo come dirlo ad Alicia: amore, sai, andiamo in Italia. E lei: wow, e dove? E io: vicino Roma. E lei: bello! Ma dove? E io: un po’ più al Sud. E lei, gelida: si, okay Raul, ma dove? E io: a Napoli». Le facce, e le risate, sono tutte un programma. «Non voleva venire, fu difficile convincerla, ma poi s’è innamorata: e oggi è la più triste di tutti noi».
Lasci parlare il cuore, Albiol. «E’ dura andare via ma forse questo è il momento giusto: Napoli è la città in cui sono stato per più tempo, sei anni, e non credo che questo mio primato personale possa crollare. Ma ora che sto per andare via, so che un giorno tornerò. Magari per festeggiare lo scudetto».
Le sensazioni sono strane. «Io e mia moglie Alicia siamo emozionati, tristi, lei più di me: qui abbiamo conosciuto gente fantastica, i nostri bimbi sono cresciuti con i loro coetanei napoletani, sono andati a scuola, hanno imparato l’italiano e anche il dialetto. Ci sono scappate già parecchie lacrime e altre ne scivoleranno».
Il Villarreal ha insistito per due anni. «E mi è parso giusto e anche doveroso rispondere di sì. Sono stati caparbi, sono tornati alla carica, potevo andare via nell’estate scorsa o prima, quando mi chiamò il Valencia. Ci avevo pensato spesso, poi non ce l’avevo fatta a staccarmi da Napoli. Ora che ho 34 anni penso sia naturale avvertire il richiamo di casa, dei genitori, dei fratelli, e progettare il proprio finale di carriera».
Via Hamsik a gennaio, via Albiol dopo sei mesi: si sta chiudendo un ciclo? «Assolutamente no. Salutano in due ma resta una squadra di grandissima levatura che ha in panchina uno degli allenatori più forti del mondo. Qui c’è un futuro, perché i giovani sono di assoluto valore: si lotterà per lo scudetto, sicuro».
A chi ha comunicato per primo che stavolta sarebbe andato via sul serio? «A Lello, il mio più caro amico. E ci siamo commossi. Abbiamo pianto. In realtà anche Carletto mi ha fatto piangere!».
Già, Ancelotti. Lui, però, si è pure incaz… Diciamo arrabbiato. «Eh sì. E anche De Laurentiis: poi hanno compreso la scelta di vita. Ma io devo un grazie a tutti: alla città, che amo alla follia. Alla società, ai tifosi, ai compagni. Alle maestre che hanno contribuito alla formazione dei miei figli, al mio amico Franco e a Mario: me li porterei a Valencia! In realtà vorrei citare tutti quelli che sono stati al mio fianco in questo periodo indimenticabile: l’elenco è lungo».
La chiamavano El Patron. «E’ stato Allan a mettermi il soprannome, quando in ritiro guardavamo la serie Narcos: imitavamo i personaggi, si scherzava».
Il señor Albiol è anche un leader. «Questo lascio che lo dicano gli altri. Io so che ho dato tutto e che ho ricevuto, calcisticamente ma soprattutto umanamente, tantissimo. Però questa offerta del Villarreal, a cui sono grato per la stima e gli sforzi, mi mette in condizione di tornare a casa mia, che è a mezz’ora dal centro sportivo in cui andrò ad allenarmi».
Il giorno più duro? «A Firenze, quando perdemmo lo scudetto, o forse questo del mio adios. Non so. Sapete cosa? Io a Napoli, sin dal primo istante in cui sono arrivato, mi sono sentito amato».
Il rimpianto? «Lo scudetto di due anni fa, ovviamente. Una rabbia che ancora avverto dentro perché con novantuno punti in genere si vince sempre. Però il Napoli non deve smettere di crederci, qui ci sono le condizioni per farcela, la Juventus mollerà qualcosa, non può resistere. E dietro, ci sono i miei amici».
Sei anni, tre tecnici. «Io qua ho avuto suerte. Fortuna davvero: sono stato bene con ognuno di loro. Rafa lo conoscevo dal Valencia, gli dovevo tanto e ora gli devo anche altro, perché è stato lui a portarmi qua. E Sarri mi ha cambiato, mi ha migliorato. Poi c’è Ancelotti, un grandissimo: un giorno potrò dire di essere stato allenato da lui. L’unico rimpianto, ripeto, è che vado via senza aver vinto lo scudetto».
Nel 2014 ha conquistato una Coppa Italia, però: tutto cominciò così. «E poi la Supercoppa nella stagione successiva: fu bellissimo il biennio di Benitez. Anche dopo, comunque, abbiamo ottenuto risultati straordinari, perché le qualificazioni in Champions lo sono».
Argomento delicato: Sarri alla Juventus. «Maurizio è un uomo adulto e sa quello che fa: è difficile prendere decisioni dinnanzi a proposte del genere e bisogna trovarsi in certe situazioni per poterne parlare. Ai napoletani non farà piacere vederlo su quella panchina, è normalissimo, e anzi a essere onesto non fa piacere anche a me. Per niente. Fa proprio uno strano effetto immaginarlo alla Juve: molto più di Higuain».
Avrebbe potuto rimandare il ritorno a casa di un anno e sfidarlo, ci ha pensato? «Sarebbe stato divertente. Io da lui ho imparato un sacco di cose. Ma la Juve è una grandissima società, la storia parla per lei».
Cosa cambierà con Sarri in bianconero? «Bisogna approfittarne, perché magari all’inizio finirà per concedere qualcosa. Poi, una volta memorizzati i movimenti, rischia di farsi di nuovo dura: le sue squadre diventano macchine perfette. Ci vorranno altri 91 punti per batterli. Bisogna vincerle quasi tutte».
Cosa manca al Napoli per realizzare il Sogno? «Un dieci percento. L’ultimo passettino, ma la squadra ha già la consistenza. E se poi, come leggo, si aggiunge James Rodriguez… Carlo sa tutto di lui e lui di Carlo si fida, sono stati assieme a Madrid e al Bayern, c’è grande stima. James aggiunge tasso tecnico, fantasia».
Con o senza Insigne? «Io Lorenzo non lo vedo con un’altra maglia addosso. Però bisogna che la gente lo comprenda, faccia pace con lui, gli stia vicino. Se poi giocare al San Paolo fosse sempre più complicato – ma solo in quel caso -, allora sarebbe giusto pensare di separarsi. Ma io spero che lui resti qui, tra la sua gente e nella sua terra. Da capitano».
Lascia qui un giovane erede spagnolo: Fabian Ruiz. «Può arrivare dove vuole e può giocare dove vuole: deve solo scegliere quale sia il suo ruolo. E’ un bravo ragazzo, è serio, ha la testa giusta e tutto quello che serve per diventare un diamante».
E ora che parte, Raul, a cosa pensa? «Che porterò tutto nel cuore, per sempre. Che non dimenticherò mai la mia Napoli. Che in Italia non sarei potuto andare da nessun’altra parte. Che ho pianto quando ho preso la decisione. E che io e mia moglie stiamo piangendo ancora».
Fonte: Cds