Così sulle pagine del Corriere dello Sport
C’è un Maurizio Sarri che parla e poi c’è un Maurizio Sarri che pensa: c’è un conflitto, vertiginoso, di idee (e d’ideologie) che forse si aggrovigliano, prima di liberarsi nella loro limpidezza, per quei cinquantanove minuti «pieni» di sè, di quello ch’è stato, di quello che potrebbe diventare, di un uomo separato in due anime, una antica, ricca di sessant’anni, ed un’altra paradossalmente moderna, che comincia proprio ora, in questa nuova giovinezza al fianco di una «Vecchia Signora». Maurizio Sarri si ritrova – e lo sapeva – contro Maurizio Sarri, i sentimenti galleggiano nell’aria e sembrano raffigurati in un linguaggio del corpo (e persino dell’anima) che non tentano di non tradire mai l’onestà intellettuale di chi non cancella nulla di sé, di diti medi allungati e di «palazzi» da dominare, di look alternativi e di simbolismi che resistono, di un Comandante che ha assecondato il ruolo, senza ispirarlo, però godendoselo e blandendolo.
Sarri è stato comunicatore a modo suo per un’epoca, ha usato la sciabola nella sua dialettica provocatoria, mentre adesso declama con prudenza, attraverso pause di un pensiero che però gli appartiene e non sa di finzione: è lui, è vero, anche se poi scorgi ch’è evaporata quella esuberanza lessicale che ogni tanto l’ha trasformato in conferenziere «border line» ed anche una dissacrante ironia che viene accantonata e ristretta in due «paroloni» off-limits. C’è voluta mezz’ora per strappargli un sorriso vero e una traccia della sua tosco-napoletanità (apprezzata anche da Andrea Agnelli in prima fila a seguirne le evoluzioni sui passaggi più delicati, e ce ne sono stati) e custodita nel silenzio di una sala stampa enorme almeno quanto il suo vissuto. Quando alle 11.02 di un giovedì speciale Maurizio Sarri esce (definitivamente) dall’iconografia partenopea – e non è più un Cristo, un Masaniello o l’eroe sulle cui spalle lasciarsi andare, per afferrare il «sogno» – sta per cominciare un’altra storia, la sua, ed è esatta e contraria a quella che gli è appartenuta, va attraversata e rischiando di capovolgere se stesso, tra domande che sono contemporaneamente perfide ma anche inevitabili, naturali e pure subdole: le mani si intrecciano, inseguono una bottiglietta d’acqua per dissetarsi, picchiano blandamente sul tavolo o pizzicano il naso o grattano lo zigomo sinistro o tormentano le labbra e comunque non spingono né a tacere, né a dribblare quella che resta un’idea di sé, nella sua verosimiglianza, mentre Maurizio Sarri convince Maurizio Sarri ch’è stato giusto così.