Conviene approfittarne adesso per il professionismo nel calcio femminile, cavalcare l’onda e non scomparire come una bolla di sapone. Le donne ai Mondiali femminili vincono, divertono, accendono i televisori, richiamano sponsor, risvegliano coscienze. Quando a Girelli è stato detto “avete unito l’Italia”, lei, calciatrice di razza e carattere, a prescindere dai tre gol rifilati alla Giamaica, e donna intelligente ha risposto: «Questa cosa mi fa sorridere, noi siamo sempre state qua». E già… della serie
Esatto. Ha ragione il presidente Figc, il riconoscimento di diritti pensionistici, sanitari, di fine rapporto, di maternità eccetera eccetera, non si discute. Ma vanno chiarite due tre cosette a beneficio di chi salta sul carro e urla al professionismo: c’è una legge che lo regola ed è la n.91 dell’81 e dice che sono le federazioni a deciderlo. Teoricamente se la Figc decidesse che le calciatrici sono professioniste queste lo sarebbero. La Federazione però sa che l’impegno sarebbe troppo oneroso per tante piccole società che finirebbero per
L’impegno della Figc a favore delle donne è noto e le parole di Gravina lo testimoniano, ma forse il primo vero passo da fare sarebbe completare l’opera della Divisione di calcio femminile, avviata durante il commissariamento e non ancora terminata con i suoi organi. In questa sorta di Lega i club avrebbero modo di incontrarsi, studiare e proporre una strategia. Il dibattito è aperto, non si faccia finire tutto in una bolla di sapone, e si facciano passi che la gamba può, nel rispetto sempre di donne calciatrici, indiscutibilmente lavoratrici. Fonte: Cds