P roprio lui, il collega su cui Allegri ironizzava negli anni delle sfide scudetto: «Se volete vedere lo spettacolo andate al circo». E voleva dire: andate a Napoli, a vedere la squadra di Sarri. La Juve che si affida a Maurizio, alla fine apparentemente non traumatica del ciclo di Max, è una sconfitta per la Juve stessa e la sua tradizione, se vogliamo. Perché affida il progetto tecnico – se vincere è sempre l’unica cosa che conta, si deve tentare di portare a casa la Champions oltre allo scudetto nella stagione 2019-2020 dopo i tentativi falliti negli ultimi anni – a un allenatore che appare fuori dai parametri del club, perfino quelli estetici; a quell’uomo in tuta e con dichiarate simpatie di sinistra, bocciato da Berlusconi nella primavera di quattro anni fa, prima che giungesse l’offerta di De Laurentiis, la grande chance sfruttata benissimo, conquistando prima la tifoseria azzurra e poi due club tra i più importanti al mondo, quelli di Abramovich e Agnelli. Nel 2015, dopo aver salvato l’Empoli e aver firmato per il Napoli, avrebbe potuto mai immaginare tutto questo? Arriva alla Juve il «peggiore nemico» della Juve, l’uomo che l’ha fatta soffrire, soprattutto nella terza stagione a Napoli, quando era arrivato a un punto a quattro giornate dalla fine del campionato. Sembrava si potesse davvero arrivare al Palazzo e ribaltare il pronostico, invece il finale fu amaro. Non sappiamo quanto, negli anni scorsi, Agnelli e i suoi uomini di fiducia abbiano apprezzato il lavoro di Sarri, o se siano rimasti colpiti dai più recenti risultati al Chelsea: Europa League, terzo posto e qualificazione Champions e sconfitta ai rigori in Coppa di Lega. È, intanto, significativo che tre piazze prestigiose si siano affidate ad allenatori fautori del bel gioco: oltre a Sarri, ecco Giampaolo al Milan e il portoghese Fonseca alla Roma. È una nuova traccia per il campionato che eufemisticamente, nell’intervista di due giorni fa al «Mattino», Zeman ha definito «non bello»: basta con gli atteggiamenti sparagnini, facciamo un gol e poi alziamo le barricate, scelta fatta fin troppe volte dalla Juve di Allegri in questi anni. CR7, triste per aver vinto «solo» lo scudetto dopo essere uscito in malo modo dalla Champions, potrà divertirsi in quel sistema che esalta gli attaccanti: Sarri, che ha dimostrato a Napoli e Londra di non avere problemi nella gestione dei big, nel primo anno esaltò talmente le caratteristiche di Higuain da farne il capocannoniere del campionato e da spingere proprio la Juve a pagare la clausola di 90 milioni al Napoli. Tre anni dopo Agnelli porta a Torino un altro dei pezzi pregiati presi da De Laurentiis e questo conferma il buon lavoro del club azzurro, che per sostituire Sarri ha assunto Ancelotti, uno dei tecnici più decorati della storia del calcio mondiale. Maurizio e il Pipita si erano ritrovati cinque mesi fa nel Chelsea, difficile che il loro rapporto prosegua nella Juve perché non rientra nei piani tecnici del triumvirato bianconero. Agnelli, Nedved e Paratici hanno deciso un cambio culturale, non solo tecnico. E la conferma è arrivata ieri sera a Napoli, in un ristorante a un passo da piazza Garibaldi, dove John Elkann, presidente di Fca e ad di Exor (la finanziaria che gestisce anche la Juve), ha sussurrato ai delusi tifosi azzurri di essere rimasto affascinato dal gioco del Napoli di Sarri e dalla sua voglia di vincere. Maurizio, che ha conosciuto la serie A a 56 anni e ha vinto il primo prestigioso trofeo della carriera a 60 (l’Europa League conquistata a Baku umiliando l’Arsenal nel derby di Londra), è distante sotto molti profili da Conte e Allegri, i tecnici degli otto scudetti consecutivi. Il gioco è la base per lui e si intende un solo tipo di gioco, con quel 4-3-3 che manda allo sbando gli avversari quando la squadra è in piena efficienza fisica. Allegri era propenso ai cambi in corsa, con l’assetto più volte modificato nella stessa partita. E poi, gradualmente, spazio per tutti nelle varie competizioni. Sarri, invece, ha puntato su un blocco anche al Chelsea: a Napoli erano stati 12 i calciatori ad aver giocato oltre 2000 minuti; a Londra 15, appena un po’ in più. Alla Juve, come al Chelsea, non si potrà ignorare un torneo in favore dell’altro: sarebbe inconcepibile il turnover in Champions, com’era accaduto nell’ultima stagione napoletana perché Sarri voleva raggiungere il massimo in campionato, per tentare quel colpo sfumato nella notte di Inter-Juve e alla vigilia di Napoli-Fiorentina, con quello strano arbitraggio di Orsato al Meazza che non può aver cancellato dai suoi ricordi. La tifoseria bianconera non ha digerito la scelta del club. Ma era la stessa che contestò cinque anni fa Allegri, scelto per sostituire Conte, allontanatosi dopo il secondo giorno di allenamenti a Vinovo per guidare la Nazionale: il tempo, con il conforto dei risultati, dovrebbe sistemare tutto. Certo, agli juventini almeno per un po’ farà un certo effetto vedere in panchina quel loro ex avversario, fiero delle origini a Bagnoli e del tifo per il Napoli: e ci auguriamo li sbandieri con forza ai primi cori razzisti allo Stadium. Fonte: Il Mattino