Oggi la sua corsa saprà di riscatto. Perché il rigore contro l’Australia, che poteva costarci caro, brucia, se sei il capitano, brucia. E l’acqua su questo fuoco può buttarla solo lei con una prestazione da Sara Gama.
«Poi ci ho messo lo zampino io con quella sciocchezza… per fortuna che una compagna aggiusta gli errori di un’altra compagna», così aveva potuto dire ridendo Gama a fine gara, perché le cose con l’Australia sono andate oltre le attese e la sfortuna.
E’ la sua partita oggi, anche se lo spirito di gruppo, come riportato dal CdS, questa bella fusione che si respira guardando le azzurre, le farebbe dire che non deve riscattare niente.
«Non guardiano indietro, ma avanti – ha detto Gama in conferenza ieri con Bertolini – La Giamaica non va assolutamente sottovalutata, non c’è pericolo perché siamo consce di dove siamo e sappiamo che dovremo far valere tutta la nostra sapienza tecnico-tattica se vogliamo avere la meglio».
Ma la sua carica ha il timbro del capitano, inutile nasconderlo. E’ come il suono del pifferaio, Gama “suona” e richiama per farsi seguire: «Quello di domani (oggi ndr) è un match fondamentale per il passaggio del turno, può essere uno step molto importante».
Sara Gama è di Trieste, madre italiana e padre congolese, figlia unica, con un’anima da marinaia e una Barbie fatta a sua immagine. Il mare le manca da quando ha iniziato la sua vita da nomade appresso a un pallone e infatti torna sempre a casa («E’ difficile staccarsi dalla propria terra»).
La bora di Trieste è fastidiosa ma quando non ce l’hai più addosso, come quando non hai più il mare davanti agli occhi, ti accorgi quanto riempivano. Sara sarebbe rimasta a giocare a Trieste, nella Polisportiva San Marco, se non fosse fallita. Si è spostata di poco a Tavagnacco, poi al Brescia la vera rampa di lancio, quindi un’estate a Los Angeles e il Paris Saint Germain.
La Francia. La stessa Francia che adesso custodisce il sogno. Solo una stagione però. A fare la professionista quando in Italia sembrava un’utopia. Ma è tornata nel suo Paese, passando per il Brescia, chiamata proprio da Milena Bertolini che allora allenava le leonesse. Ha lottato tanto, insieme a tutte, perché il calcio femminile avesse rispetto e dignità. Ce l’ha fatta. E la Juventus è il massimo, quel che si merita, Speedy che va veloce, a volte più delle sue gambe e più dei suoi desideri.
Aveva sette anni quando ha iniziato a giocare a pallone. Era il nonno a portarla in giro per i campi. I genitori l’hanno sempre lasciata libera di scegliere. Lei invece è stata scelta e al braccio ha infilato la fascia di capitana della Nazionale, ora più bella che mai. Si definisce una grande fan del divano, e dice di far finta di essere estroversa per non sembrare timida, perché in fine dei conti è solo riservata. Ha una laurea in lingue, nessun idolo e una vita in divenire. «Davanti c’è sempre tanta strada da fare. Si va avanti di obiettivo in obiettivo. Io non mi fisso dei limiti. Vedo una cosa, la desidero, ecco l’obiettivo», diceva qualche tempo fa, quando non si immaginava di avere davanti un obiettivo vicino, possibile, bellissimo. Sara Speedy Gama ha le gambe rutilanti, una testa piena di ricci e un sogno che non è solo suo. E’ anche nostro.
La Redazione