Si scrive James Rodriguez e si finisce per attraversare, a tappe, l’Ancelotti-story, la flessibilità di un concetto che viene manipolato dalla Juventus in poi, da quando cioè nel suo microcosmo, un uomo che fa l’allenatore si ritrova a dover sistemare Zinedine Zidane e a rivoltare se stesso con il suo «primo, vero cambiamento». C’è una via lattea da percorrere, ci si può perdere o ci si può bruciare e invece diviene una cavalcata sontuosa, stratosferica, che conduce nella galassia degli allenatori: dalla Juventus al Milan e dunque da fenomeni a fenomeni, gustandoseli senza freni inibitori, persino accoppiando Rui Costa e Rivaldo fusi all’interno di un progetto denso di materia grigia che, some si sa, può sfuggire agli equilibri. Ma i «dieci» hanno nature ampie, varie, chiaramente diverse, e anche caratteri da tutelare attraverso una saggezza che Ancelotti ha posseduto da ragazzo, se l’è trovata nella culla e l’ha portata con sé anche quando ha buttato via il biberon. Il Milan di Kakà nasce nel 2003, proprio quando va via Rivaldo e però ha sempre e ancora Rui Costa, diventa magnetismo allo stato puro, si gode lo scudetto, perde una Champions (quella dolorosa del 3-3 con il Liverpool) e ne vince poi una e lascia che quell’enfant prodige, arrivato a ventuno anni, quando ne abbia compiuti venticinque si porti a casa anche il Pallone d’oro. Fonte: Cds