Il calcio come fine ma anche come inizio, anzi nuovo inizio. Questa la storia di Alessandro Sbrizzo, napoletano ed ex difensore del Napoli. A 30 anni ha smesso di giocare perché letteralmente nauseato dal calcio e da quello che lo circondava. Poi un viaggio negli Stati Uniti gli ha letteralmente cambiato la vita e anche le prospettive tra un’accademia sportiva, l’amore, il matrimonio e anche un giornale sportivo creato con alcuni amici per raccontare quello che i loro ragazzi facevano in campo.
Cosa faceva? «Ho preso tutti patentini da allenatore e ho iniziato la mia esperienza allenando bambini e bambine dai 4 ai 18 anni».
Anche bambine, ha detto. «Il calcio femminile negli Usa è avanti anni luce. Quando si confrontano con le italiane le americane sono superiori. Qui in Italia è ancora un tabù, mentre lì la ragazzina si apre subito al calcio. Ma è una questione anche di opportunità, perché in America le ragazze brave a calcio hanno la possibilità di entrare all’università con borse di studio sportive».
Ora sono tante le proprietà americane che sono sbarcate in Italia per acquistate club di serie A: che impressione ha avuto della loro idea imprenditoriale? «Il calcio italiano fa gola anche all’estero anche perché gruppi seri e volenterosi in Italia non ce ne sono. Gli imprenditori americani come Pallotta, Saputo, Tacopina o Commisso vengono da una cultura di investimento dello sport che in America è da numeri uno: sanno fare business nello sport. Ma attenzione, il loro è un modello che funziona bene negli States, ma quando viene esportato può avere delle difficoltà perché si scontra con mentalità diverse».
Cosa intende? «Oggi le società devono pensare di brandizzare il loro marchio, altrimenti avrai sempre dei limiti. Chi viene da fuori porta questa mentalità e questa ventata».
Dopo 10 anni è tornato in Italia, di cosa si occupa oggi? «Adesso sto collaborando con Gaetano Fedele in un progetto che ovviamente ha a che fare anche con gli Stati Uniti».
Di cosa si tratta? «Organizziamo tournée per portare squadre e giocatori americani in Italia e viceversa. Ovviamente portiamo anche le ragazze, che come dicevo negli States hanno molte possibilità dal punto di vista calcistico».
Quindi si può dire che ha fatto pace con il calcio? «Il calcio l’ho amato e lo amo, e per via delle mie esperienze passate quello in cui mi prodigo di più è insegnare ai giovani i valori sani piuttosto che insegnare loro come si gioca a calcio. Mi sento più istruttore che allenatore».
Il Mattino