“Necessaria premessa: la cittadinanza onoraria è una cosa seria. Viene concessa a chi, in qualche maniera, svolgendo la propria attività o esprimendo le proprie opinioni, si distingue per un’azione meritoria in favore della città.
D’accordo, se ne fa un uso spesso improprio. A volte si insegue, da parte di qualche amministrazione comunale, il facile consenso compiaciuto dei cittadini o, peggio ancora, pubblicità per se stessi a costo zero. E in altre occasioni si corre il rischio di premiare con questa onorificenza qualcuno che non sia proprio un modello di virtù, ma che abbia al momento solo molta popolarità. Ma in assoluto, se una città accoglie nei propri registri qualcuno che non ci è nato è perché si è riconosciuta una particolare identità, una coincidenza di confini, un’ideale corrispondenza dei principi fondamentali che caratterizzano il territorio.
Avete sicuramente presente, se frequentate le pagine di questo giornale, quel coro idiota tra tanti cori idioti che a volte viene dagli imbecilli più imbecilli: “noi non siamo napoletani”. Ritmato secondo l’uso tribale, cupo e ottuso, questo coro risuona spesso nelle curve degli stadi, anche quando gli azzurri non sono in campo né sussiste un interesse di classifica conflittuale. Noi non siamo napoletani. Ecco, pensate che a fronte di quel coro idealmente un’intera città saltella nello stesso momento, cantando in sorridente silenzio: noi invece lo siamo.
Sì, perché nessuna città così grande ha una squadra sola, nonostante si giochi a pallone praticamente nel cortile di ogni condominio e, come dovunque, esistano grandi rivalità di campanile. Qui c’è solo il Napoli, semplicemente perché non c’è bisogno di nessun altro. L’identità tra squadra e città è fortissima, e nonostante da anni gli azzurri si allenino in un’altra provincia e in città non ci sia una sede sociale, la squadra è il soggetto sottinteso di ogni discorso in bar o uffici o piazze. Questa identità fa sì che quello che succede alla squadra si ripercuota sulla città, e che i sentimenti del popolo si riflettano inevitabilmente sul Napoli. Molto più che dovunque, nel mondo: come se River e Boca fossero una sola squadra, o Real e Atletico, o Roma e Lazio.
Kalidou Koulibaly è un professionista. Un uomo straordinario, in possesso di una statura atletica da superuomo, di mezzi tecnici incredibili; ma è anche un ragazzo di grande intelligenza, colto e sensibile, raffinato nei modi ed educatissimo nei comportamenti. Non alza mai la voce, non si colloca mai sopra le righe, non entra in polemica.
Tutte splendide qualità, ma questo non comporta il diventare cittadino di questa città. Significa solo (solo!) essere una brava persona.
Succede però che suo malgrado il superuomo Kalidou, che potrebbe considerare con divertito disprezzo le migliaia di ometti con la pancia e i denti guasti che ululano contro di lui nascosti vigliaccamente nella moltitudine, è diventato il simbolo dell’antirazzismo. Che il sentimento più idiota che esista, alimentato da una politica infame e folle, abbia visto vomitare quel verde veleno proprio sul superuomo Kalidou; e che per una volta il superuomo Kalidou non abbia riso, ma si sia contrapposto pagando incredibilmente di tasca sua, con una multa e una squalifica.
Ecco: questa città ha tanti difetti. E’ difficile, povera e spesso priva di senso civico.
In questo senso il superuomo Kalidou, col suo fisico perfetto e con la sua grande intelligenza che gli impedisce di diventare razzista a sua volta, come potrebbe ben permettersi di essere nei confronti degli ometti ululanti, è davvero cittadino di questa città. E se il suo essere professionista dovesse portarlo altrove non smetterebbe, ne siamo certi, di esserlo. E noi con lui”.
CdS