ADL “BUM BUM”: “Il Napoli non è in vendita. Quagliarella? Merita di indossare questi colori”

De Laurentiis parla del Napoli ma anche della sua gioventù

Mica è un mondo in bianco e nero, semplicemente perché appartiene al passato: ci sono fotogrammi che saranno pure impolverati, ma brillano di lucentezza propria nel labirinto della memoria. Settanta anni fa: è anche inutile soffermarsi su cosa (non) ci fosse all’epoca e quel che invece esiste oggi, però i ricordi sono un patrimonio personale, racchiudono una stagione lunga, lasciano respirare emozioni che restano, senza necessariamente impigrirsi in una rete terribilmente nostalgica: «Ma io, e non è un modo di dire, rimango uno scapigliato come allora». Ciak, in una vita di Aurelio De Laurentiis ci sono varie esistenze, che adesso si sono concentrate (inevitabilmente) in un pallone, però poi si avverte ancora il richiamo dell’adolescenza, il ronzio di una macchina da presa che lascia la propria eco, l’urlo avvincente di uno stadio che sembra un’arena, le mani della mamma e del papà che tracciano la strada, i baci dei nipotini che introducono in un’inedita dimensione, occhi che osservano questi mutamenti ora veloci, più di quei motorini degli anni sessanta «a due o quattro tempi» sui quali si saliva con dietro con delle bellissime coetanee. E il vento che scheggia il viso, ondeggiando verso Capri, non basta a portare via neanche un lembo del vissuto, semmai rimescola ogni immagine e la lascia lì, affinché sia possibile osservarla per gustarsi pure l’orizzonte di (del) Napoli, mentre intorno a De Laurentiis, in un’intervista rilasciata al Corriere dello Sportè festa per i settant’anni. 

 
Il De Laurentiis degli ultimi quindici anni lo conosciamo, ma com’era invece l’Aurelio fanciullo, quello dei suoi primi quindici anni? «Un discolo che, andando molto bene a scuola, pretendeva di vivere fuori dalle regole. A quei tempi, i miti erano gli attori cinematografici, gli Humphrey Bogart per esempio, che noi cercavamo di imitare: loro fumavano sempre e noi volevamo fumare come loro. Ma volevamo anche baciare la fanciulle sulle labbra, come nei film. Cercavamo ragazzi più grandi di noi, affinché ci comprassero le sigarette sfuse, come si vendevano all’epoca. E, insomma, un po’ facevo disperare i miei ma io mi divertivo da matti».

La figura centrale della sua infanzia qual è stata?  «Quando si è bambini, i nonni assumono un ruolo significativo, e me ne sto accorgendo io adesso, con i miei nipoti. Io porto il nome di mio nonno Aurelio, che mi diceva sempre: tu sarai l’erede al trono. E al quale replicavo: ma dove è ‘sto trono….? Però devo aggiungere che mio padre è stato carismatico, arrivava a braccetto con Eduardo De Filippo e devo dire che ciò aveva un suo fascino, anche in un bimbo. E poi, essendo uomo di cultura, trascinava me e mia sorella alle mostre, ci rendeva partecipi negli acquisti di opere d’arte».

Ha sempre pensato di dover essere un produttore? «Sono cresciuto con il cinema dentro casa, forse – non so – magari sarei potuto essere uno stilista o un medico o un architetto. Ma quel mio mondo adolescenziale in fin dei conti contiene tutte queste passioni che avrei potuto eventualmente assecondare. Ho fatto, conquistandomelo, quello che volevo: posso sentirmi soddisfatto. Ho dentro di me una curiosità sempre notevole, che alimenta le mie conoscenze e mi arricchisce. Un film in genere è adrenalina allo stato puro, ma è anche il risultato dell’opera del tuo ingegno».

Ma oggi chi è De Laurentiis?  «Mi verrebbe da dire ancora uno scapigliato, un nonno che si sente ventenne. Parlavo proprio ora con mio figlio Luigi e pensavamo di dover realizzare un film sul mondo dei giovani di oggi. Non chiedetemi se si stia meglio adesso o prima, ora guardo con occhi diversi quello che mi circonda. Ho avuto la fortuna di essere adolescente durante i mitici anni Sessanta, vivendo tra i Beatles e i Rolling Stones». 

Lo stress non se lo è mai fatto mancare… «Ma io lo stress lo ammazzo. Tranne quello che mi trasmette Jacqueline mia moglie, quando vede, ovviamente, le partite del Napoli». 

Festa in famiglia a Capri.  «Ce ne stiamo tutti assieme, qui, tra Capri, Ischia e la Costiera Amalfitana, nei luoghi della nostra vita. Ma non ci sarà il piccolo Aurelio: ha ricevuto proprio ieri il suo primo passaporto americano ed è buffo, con quell’aquila che incombe nell’immagine che mi ha inviato mia figlia. E’ il primo della mia famiglia che nasce negli States».

Poi è arrivato il calcio e non è ancora chiaro se la tensione sia cresciuta o se la sua vita sia stata alleggerita.  «Io penso che soddisfazioni ne siano state colte e il nostro status internazionale è evidente: mai, a parte l’epoca dei successi di Maradona, il Napoli ha avuto un ruolo internazionale così autorevole. E le indagini a cui abbiamo sottoposto il mercato ci dicono che con l’approdo in Australia e in Oriente siamo arrivati a ottanta milioni di tifosi. E’ un esercito e anche una responsabilità». 

Ripensando alle gioie e ai dolori: le fa male ancora quello scudetto perduto un anno fa?  «Ma no, perché moralmente lo abbiamo vinto noi. Io so che quel titolo è nostro, ci eravamo arrivati con un gioco meraviglioso e unanimemente riconosciuto. Però so anche che nel calcio esistono agenti esterni – non i calciatori, non gli allenatori – che finiscono per essere condizionanti: e quando questi fattori verranno sconfitti e si potrà parlare di credibilità, allora certe cose non accadranno». 

I suoi cicli nel football sono quinquennali…Comincia il quarto. «Il calcio è sintetizzato nel successo e comprendo le delusioni dei tifosi, so che vincere sa – saprebbe – anche di rivincita sociale. E’ difficile dar torto a chi vive questa passione. Ma so che esiste la sconfitta e va affrontata. Con l’arrivo di Ancelotti abbiamo avviato, in anticipo, la costruzione di questo nuovo ciclo».

Quel diritto di recesso ha spalancato dinnanzi all’universo-calcio varie ipotesi.  «Direi le più stravaganti. Ancelotti è l’allenatore del Napoli, con un triennale, per ora. C’è chi ha pensato di sparare nel mucchio, aprendo a chissà quale irrealizzabile prospettiva. Io sono contentissimo di lui e lui è felice di stare qua, il 31 ci vedremo a Capri, festeggeremo il suo compleanno». 

Quagliarella è una splendida idea, saprebbe di risarcimento del destino per un uomo che nella sua unica stagione napoletana è stato “annullato” da una vicenda dolorosa.«E credo che meriterebbe questa occasione. Io penso che non sia una questione economica né per noi e neanche per lui, ma una soluzione romantica per chiudere la propria carriera in quella Napoli che lui, per quello che gli è successo, non ha potuto vivere come avrebbe voluto, e cioè gioiosamente». 


La sua giornata, ieri, è stata ricca: dal summit con Ancelotti, Giuntoli e Chiavelli all’appuntamento al san Paolo.  «Per vedere lo stato dei lavori, che mi sembrano in ritardo, non avendo lavorato con più squadre. Ho incontrato il commissario Basile e Auricchio, il braccio destro del sindaco, c’è una tempistica da rispettare e abbiamo voluto verificare se ciò che va ultimato può essere rapidamente sistemato». 
 
Il mercato: cioé Lozano, Ilicic e Castagne (per cominciare). «Ma noi abbiamo una gradualità di interventi: ci sono calciatori in organico di qualità e anche giovani, penso a Ounas, a Verdi, a Diawara, e ce ne sono altri in giro, e penso a Inglese e a Rog ma non solo a loro, da valutare. Bisogna innanzitutto verificare certe situazioni. Ma siamo consapevoli di dover intervenire, ad esempio, in difesa, sulle fasce…A centrocampo non sarà semplice, ma aspettiamo; e in attacco, onestamente, abbiamo l’ira di Dio».

Il futuro di Insigne dipende da Raiola?  «Insigne ha vissuto un periodo di appannamento, che ha inciso nella sua psicologia. Quando ritroverà la condizione, si sentirà più libero nelle sue giocate. E dopo quell’appuntamento a casa di Ancelotti, presente Raiola, il caso non è più esistito».

L’estate del Napoli sarà internazionale  «Una amichevole con il Liverpool, una con il Marsiglia e probabilmente una a New York, se la trasferta non sarà dispendiosa fisicamente e ci consentirà di fronteggiare gli eventuali problemi del jet lag». 

Ma lei – perdoni, ma le voci corrono – ha intenzione di cedere il Napoli?  «Le faccio fare una risata: giorni fa mi si è avvicinato un signore con fare amichevole ma anche circospetto. Sai, Aurelio, ho la possibilità di presentarti un acquirente che avrebbe intenzione di offrire novecento milioni di euro. Ho sorriso e gli ho ribadito quello che ho detto ripetutamente: il Napoli non è in vendita. Non ho nessuna intenzione che si possa correre il rischio di ricreare quelle situazioni che hanno poi portato al declino. Qui c’è soltanto bisogno di un uomo con la capacità di tenere la rotta giusta».

La Redazione

De Laurentiis
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