Alberto Zaccheroni, fino al mese scorso sulla panchina degli Emirati semifinalisti in Coppa d’Asia, nel suo giro del il mondo ha vissuto anche a Pechino. Allenando il Bejing Gouan per 4 mesi, da gennaio a maggio del 2016. Così al microfono de Il Mattino:
«Hamsik deve capire che tocca a lui fare lo sforzo maggiore per calarsi nella cultura cinese. È inutile stare lì ad aspettare che siano i compagni di squadra a farlo, non può neppure pretenderlo: a loro non importa farlo, perché nella testa del calciatore cinese c’è il fatto che sei a casa loro e tocca a te adattarti. Deve entrare dentro la Cina».
Marek si lamenta anche per i problemi di comunicazione. Normale?
«Sì che lo è. Lo sforzo è grande ma per questo ci sono i traduttori che aiutano a tradurre un linguaggio che è assai complesso. Spesso si tratta di decodificare. Poi la Cina è grande e ognuno parla il proprio cinese e questo complica ancor di più l’ambientamento».
Due mesi non bastano?
«Certo che no. Gli stranieri sono venerati dal pubblico, sono delle vere star e vengono accolti con la stessa ammirazione con cui noi accoglievamo i vari Platini, Zico, Falcao, Maradona nei primi anni 80. Hamsik ha trovato un calcio differente sotto il profilo tattico ed è evidente che in questa fase soffra per le difficoltà di comunicazione. Ma si scordi che uno qualsiasi dei suoi compagni si dia da fare per agevolare il suo ambientamento. Non ne hanno interesse, non è nella loro testa, e sotto questo aspetto sono particolari».
Anche lei ha sofferto per i problemi con la lingua?
«Ma io sono uno che ha sempre girato e ha sempre capito che devi entrare nel cuore del Paese dove vai a lavorare, fin dal primo istante, per poter fare l’allenatore. Ho vissuto a Tokyo, a Dubai, a Pechino e mi sono sempre impegnato a capire la cultura di quei luoghi. E questo mi ha aiutato nell’allenare la squadra».
E in Cina?
«Lì i miei veri problemi sono stati legati al clima: troppo freddo in inverno e poi uno smog che costringeva tutti a usare la mascherina anche durante gli allenamenti. Ma io certo non potevo dirigere l’allenamento con una mascherina…».
Gli interpreti hanno un ruolo fondamentale?
«Aiutano. Ma ti aiuta anche la tua personalità. Il punto è che i calciatori cinesi non hanno una grande cultura, non hanno interesse a tendere la mano allo straniero che arriva. Non è questione di invidia, non è un fatto di scaricare la responsabilità: loro non dicono tu guadagni di più allora tocca a te darti da fare e sgobbare, loro sanno che i calciatori cinesi sono pochi di un certo livello e che in pratica sono degli intoccabili. C’è un rispetto totale per le gerarchie nelle società. Io mi feci nemico un po’ tutti perché feci esordire un ragazzino di 16 anni e mezzo. Il loro guadagno è buonissimo e non cambierebbe passando da una squadra all’altra».
Insomma, Marek si è messo in un bel pasticcio?
«No. Perché appena avrà superato questo momento di smarrimento che pure è normale, prenderà il meglio di quella esperienza: la cultura tattica delle difese è bassa, uno con le sue qualità presto inizierà a sbizzarrirsi. Deve fare uno sforzo in più: magari quando arrivò al Napoli, dal Brescia, trovò tutti pronti a dargli una mano, ad agevolargli l’inserimento. Lì, se lo può scordare. Non lo farà nessuno. Non è nella loro cultura. Deve arrangiarsi senza guardare quello che fanno gli altri. Perché gli altri non faranno nulla per lui».
Fonte: Il Mattino