La prolungata sosta ai box di lunedì scorso, dopo i fischi ricevuti al momento dell’inopportuna sostituzione in Europa League, fa intuire che il futuro di Insigne sarà lontano da Napoli. Dove?
De Laurentiis e Raiola, mai troppo amici, ma davanti a questioni di interessi le intese si possono trovare. Per l’uno come per l’altro, è questione di milioni. Il quadro è chiaro, dunque è meglio far cadere le ipocrisie che hanno segnato il rapporto tra il Napoli (e Napoli) e l’unico napoletano della squadra, promosso capitano dopo la cessione di Hamsik, che fu un errore avallato da Ancelotti. Quando il tecnico ha cancellato con un colpo di spugna il 4-3-3 del predecessore, Insigne è stato spostato dalla fascia sinistra, dove aveva ottenuto i migliori risultati con Zeman a Pescara e Sarri a Napoli, ed è stato utilizzato in posizione centrale, perfino come prima punta. L’inizio è stato incoraggiante, il resto meno. Siccome il calcio è un grande palcoscenico, siamo passati dal bacio di Carlo a Lorenzo del 16 settembre, dopo la buona prova in Napoli-Fiorentina, alla gelida stretta di mano del 18 aprile, dopo il cambio in Napoli-Arsenal sottolineato dai fischi di quella parte del San Paolo che non tifa per il ragazzo di Frattamaggiore e che quella sera ha scaricato su di lui anche la frustrazione per l’eliminazione dalla Coppa. Ci sembra chiaro che Ancelotti possa fare a meno di Insigne nella prossima stagione. Le loro esigenze non si conciliano e l’allenatore ha indicato con chiarezza il punto di riferimento nell’attacco del Napoli che verrà: «Milik sarà il nostro centravanti». E Lorenzo? Nel 4-4-2 non c’è spazio per lui e altre forzature non sono possibili. Peraltro le sue parole, fin dal pomeriggio di Reggio Emilia (dopo l’1–1 con il Sassuolo), sono state a metà tra la diplomazia e l’ipocrisia, da «darò il massimo finché resterò qui» a «ora ho voglia di vincere». E, dato che a Napoli non è stato possibile, la conclusione del ragionamento è scontata: proviamo altrove. Insigne e suo padre, altrimenti, non si sarebbero affidati a Raiola, il più bravo di tutti a portar via calciatori sotto contratto. L’azzurro deve assumersi una quota di responsabilità perché neanche lui è riuscito a far compiere il salto di qualità al Napoli e a farlo vincere, con le sue pause e i suoi periodi di astinenza. Se importanti obiettivi, come le semifinali di Coppa Italia ed Europa League, sono stati falliti è dipeso anche da limiti ed errori di Insigne, che non ha saputo fare la differenza e il rigore fallito contro la Juve al San Paolo il 3 marzo scorso è stato l’emblema di questo anno, di questo disperato e vano inseguimento alla capolista. Certo, ha pesato anche il complessivo scadimento di forma: il professore Ferretti, il docente del centro tecnico di Coverciano intervistato ieri dal Mattino, ha messo sullo stesso piano la preparazione di Ancelotti e Guardiola, però Pep lavora in un altro contesto, di qualità tecnica più alta, con la quale è possibile far fronte a certi cali. Esaminando i numeri, si nota che Carlo ha schierato Insigne in 38 partite tra campionato e coppe, una discreta quota di gare (l’84 per cento di quelle disputate dalla squadra) considerando la sosta forzata dopo lo strano infortunio subito durante il riscaldamento a Salisburgo. Al di là di statistiche e tattica, c’è il discorso ambientale. In questi anni si sono registrati più episodi di dissenso verso Insigne, che non piace a una parte della tifoseria, quella non popolare. È stato spesso il primo bersaglio e questo destino lo accomuna all’ultimo napoletano capitano del Napoli, Paolo Cannavaro, messo da parte da Benitez, scelta all’epoca avallata da De Laurentiis. A metà degli anni ‘90 erano stati ceduti Ferrara e Fabio Cannavaro ma per differenti ragioni: allora il club doveva vendere calciatori per iscriversi al campionato. Il Napoli di De Laurentiis è solido sotto l’aspetto finanziario, non ha mai avuto quelle necessità grazie a una corretta politica gestionale. I milioni per Insigne sarebbero reinvestiti, così come è accaduto dopo le partenze di Lavezzi, Cavani e Higuain. Se questo divorzio deve avvenire (dipende dalla consistenza delle proposte che porterà Raiola), si compia senza veleni. Non li meriterebbe quel ragazzino che venne acquistato per mille euro ed è diventato capitano della squadra dei suoi sogni, un talento che non è – ancora – riuscito a diventare campione e a costruirsi una personalità tale da farlo andare oltre parole e fischi e di fargli prendere posizioni chiare. A proteggerlo, dopo la contestazione nella partita con l’Arsenal, ci sono stati solo i compagni: un po’ poco, se questo è sempre il capitano e, fuor di retorica, un capitale, non solo tecnico, dato che sarà probabilmente messo sul mercato. Lorenzo merita rispetto in queste ultime settimane di campionato e in un’estate che si annuncia rovente, con un finale della storia che sembra già scritto, dopo i novanta minuti in panchina nell’umidissima Pasquetta a Fuorigrotta: Ancelotti e Insigne a due metri di distanza, però mai così lontani. Fonte: Il Mattino