La palla sarà pure rotonda, e non si può discutere su questa verità assoluta, però poi esistono i rimbalzi (a volte avvelenati), che definiscono parabole, traiettorie e persino il destino. E si può essere certi di tutto ciò ch’è successo sino a ieri, ma del domani, sarà noto, è impossibile avere percezione perfetta. Ma nell’aria qualcosa si coglie, senza far dietrologia, né inventandosi un ruolo da chiaroveggenti, perché il pallone è di cuoio, o di quel materiale moderno che comunque impedisce d’andarci a leggere dentro: si afferra il clima, si percepiscono gli umori, si raccolgono gli spifferi e non sono sensazioni. Non è semplice vivere da Insigne e non lo è neppure dover essere Ancelotti, né De Laurentiis, ma in questa rumba scatenatasi a tappe, da Reggio Emilia in poi, ed esplosa poi assai fragorosamente giovedì 18 aprile, con il San Paolo ancora, di nuovo ingeneroso, s’è aperto un nuovo capitolo di questo romanzo che avrà un epilogo, ovvio, apparentemente annunciato. Insigne e il Napoli non sono quelli di una volta, l’uno e gli altri, lo suggerisce l’atmosfera livorosa d’una parte della tifoseria, questa distanza ormai tra lo scugnizzo, la sua gente e la centralità di una squadra che sembra stia diventando sfuggente. Insigne in panchina, con l’Atalanta, e per novanta minuti, non è solo un’esigenza del turn-over, proprio ora che la compressione tra appuntamenti a distanza ravvicinata è svanita, ma è una legittima scelta dell’allenatore di avere un’Idea più ampia, più varia, più alternativa: e dunque, significa anche altro, che per esempio esistono strade parallele, non necessariamente e non obbligatoriamente riconducibili al talento più sfarzoso e all’uomo-simbolo del Napoli. E’ un percorso nuovo, quasi inedito, di questa stagione, che conduce verso un orizzonte (in)esplorabile, mentre in sottofondo s’ode nitido il timo di un ultimo (?) valzer.